La lampada del grilletto – Gervaso Curtis
Ho sempre adorato Rimbaud, e confesso che riscoprirlo sotto una nuova veste tra le pagine di questo piccolo romanzo di Gervaso Curtis (alter ego di Giuseppe Vicinanza) ha fatto rinascere il mio interesse per questo scrittore. Nella prima parte de La lampada del grilletto (Edizioni Opposto, 2015), infatti, il poeta francese viene citato letteralmente dagli stessi personaggi, che a tratti si esprimono proprio attraverso le parole di Una stagione all’inferno, opera composta dall’autore di Charleville a soli diciannove anni. Ma veniamo al romanzo di Curtis.
Siamo di fronte a tre uomini, alle prese con la propria realtà: il primo è rinchiuso in una lampada, il secondo è un gladiatore della Roma imperiale, il terzo è un nostro contemporaneo. La storia si snoda seguendo le tre vicende parallelamente, saltando di dimensione in dimensione, offrendo così spaccati del mondo in cui essi si ritrovano a vivere, e più in particolare di come affrontano la propria esistenza al suo interno.
Fin da subito veniamo rapiti e gettati nei processi mentali dei personaggi. Al centro della riflessione dell’autore emergono le ragioni del destino e la possibilità di una vita ultraterrena: l’uomo aspira a qualcosa che dopo la morte semplicemente non c’è; i tre, infatti, vivono il quotidiano nella totale alienazione, non c’è moralità, si sentono slegati da un’esistenza fatta di costrizioni e rinunce. Sono tre anime rassegnate, non esiste via di fuga per loro. Da questa consapevolezza nasce allora una prosa senza filtri, carica di invettiva: l’invenzione linguistica si fa esuberante, i frammenti monologici si susseguono con una tale scioltezza che le parole straripano e colpiscono per la loro violenza improvvisa, Curtis riesce a pennellare e riversare immagini verbali tra le pagine con semplicità e naturalezza.
È un libro fatto di pensieri velenosi che instillano un riflessione decadente sulla vita, il pessimismo estetico che ne deriva si risolve in un immaginario costruito sulla dissipazione e la rassegnazione delle figure umane che lo abitano. Non esiste salvezza o redenzione ma soltanto una dimensione dove l’essenza umana ristagna e vede passarsi davanti l’eternità senza poter intervenire o imporsi. Sono immagini di amore e morte, di aspettativa che muta in disillusione.
La lampada del grilletto è appunto questo, un non luogo dove l’uomo vive la sua condanna al nulla, dove i pensieri si accumulano tormentosi e i nostri demoni riemergono. Un elogio al marcio: non resta che accettare il destino affidandoci all’ebbrezza del vino e all’oppio.