The Shape of Water è una favola romantica, è un B movie anni Trenta, è estetica sfarzosa e di maniera, è spudoratezza che Guillermo Del Toro (Pacific Rim, Crimson Peak) si permette mentre agli altri non viene concesso. Come quello delle attrazioni all’inizio della nascita del cinematografo, è cinema fatto per gli occhi, da immagini d’immensa potenza e grandiosità barocca, tanto da costringere a piegarsi chinando il capo sotto tale onda di bellezza. Immagini dense e mozzafiato come un equilibrismo senza rete che, con la forza di un nubifragio tropicale, schiacciano e risucchiano schiacciano e risucchiano e si ripetono fino a divenire eterne. Come destinata all’eternità è la storia d’amore tra i due silenziosi eroi che, ricordando i protagonisti del bellissimo Crocodile di Kim Ki Duk, solo in un microambiente nelle profondità delle acque e lontano da una spietata realtà, troveranno un posto dove potersi amare, morire e poi amare ancora.
In un America degli anni Sessanta inquadrata in un clima da paranoia da guerra fredda, Elisa (Sally Hawkins), è una solitaria ragazza senza voce che abita in un appartamento, costruito sopra ad un cinema – l’Orpheum – che proietta solo film biblici e commedie. La sua vita è un ripetersi, giorno dopo giorno, di semplici cose: al mattino, dopo essersi svegliata, si masturba nella vasca da bagno in attesa che le uova sode, la sua colazione da sempre, siano pronte; prende il bus per raggiungere una segreta base militare dove lavora come donna delle pulizie; tornata a casa si diverte, in compagnia del suo migliore amico e vicino di casa Gilles (Richard Jenkins), nel copiare i balletti dei vecchi musical di Hollywood che trasmettono in televisione. In un giornata di lavoro che sembrava essere come tutte le altre, Elisa s’imbatterà in un mostro anfibio (interpretato dal mimo Doug Jones), cresciuto come un’arma da contrapporre ai sovietici, che, un po’ come lei, non appartiene a nessun luogo e a nessun tempo. L’iniziale curiosità, ben presto si trasformerà in affetto, poi in attrazione sessuale e poi ancora in amore, tanto che la giovane organizzerà un piano per salvare la creatura da un gruppo di scienziati, comandati dal pericoloso agente governativo Strickland (Michael Shannon), che lo studiano e torturano.
Il regista racconta le condizioni di coloro che subiscono la sofferenza e di coloro che la impongono, con l’unico linguaggio che considera giusto: quello della fiaba. Uno strumento potente di cui conosce a fondo i meccanismi, già da lui utilizzato per narrare delle orribili esperienze del popolo spagnolo sotto la dittatura franchista ne La Spina del Diavolo (2001) e nel Labirinto del Fauno (2006). Se la scrittura è perfetta nel trattare i più delicati dei sentimenti, pare invece disinteressata e banale quando si tratta di confrontarsi con la realtà storica, nonostante essa sia più volte richiamata nella bizzarra sotto trama dal tono da spy story, tanto da risultare fragile come un piattello che chiunque può far a pezzi con una pistola giocattolo. Poco ispirata la costruzione dei personaggi intorno ai due amanti, piatti e monodimensionali che si dirigono verso una conclusione prevedibile, senza un vero arco narrativo.
Come un sarcofago senza mummia, con la maschera da spielberghiano film di evasione, qual è invece il volto reale di The Shape of Water? Non un difetto in senso assoluto, perché sottraendo alla storia ogni conflittualità politica, Guillermo Del Toro gli conferisce un senso d’inconsistenza che la rende priva di rigidità, senza né peso e né forma. Non offrendo resistenza, la si può plasmare a proprio piacere ed è proprio questa una caratteristica che accomuna i grandi classici del cinema. Così è. Così era. Così sarà.