La donna alla finestra
L’ultimo film di Joe Wright racconta, in maniera predittiva, una condizione di reclusione, un noir/thriller psicologico che, attraverso gli schermi, confonde i punti di vista e ribalta i ruoli, un twist alla volta.
L’ultimo film di Joe Wright, adattato dal romanzo di A.J. Finn e girato in epoca pre-pandemica –l’uscita in sala era prevista a maggio 2020, ora è approdato su Netflix – racconta, in maniera sorprendentemente predittiva, una condizione che tutti abbiamo (purtroppo) imparato a conoscere. La protagonista di La donna alla finestra è Anna Fox (Amy Adams), una psicologa che soffre di agorafobia e che passa le sue giornate rinchiusa in casa a osservare la vita da dietro una finestra. A farle compagnia ci sono solo il gatto, vecchi film e tante (troppe) bottiglie di vino. Ma qualcosa dall’esterno arriva a incrinare il suo fragile equilibrio: nel palazzo di fronte si trasferiscono i Russell e Anna inizia a stringere un rapporto sia con il figlio Ethan (Fred Hechinger) che con la madre Jane (Julianne Moore). Dall’attenta e morbosa osservazione attraverso la finestra fino alla scomparsa (e sdoppiamento) di Jane, La donna alla finestra è ricco di citazioni al cinema di Hitchcock, omaggi ricamati dentro il tessuto della storia oppure riferimenti visivi espliciti, come il frame iniziale che inquadra James Stewart o la scena onirica ripresa da Io ti salverò che scorre in tv. Quello che Anna vede corrisponde alla realtà? È su questo dubbio che Joe Wright assembla il suo noir/thriller psicologico, confondendo i piani, cambiando prospettiva, ribaltando i ruoli.
Il regista gioca con l’affidabilità della narratrice e intorbida la verità che Anna (e noi con lei) crede di sapere. Per la prima metà del film osserviamo il mondo esterno dagli occhi di una donna profondamente ferita che annega le sue paure in alcol e psicofarmaci. Nella seconda parte, quella più debole, Wright svela, un twist alla volta, il mistero (anzi, i misteri) al centro della storia. E da Hitchcock si arriva al Soderbergh di Effetti collaterali o Unsane, dove reale e finzione si mescolano. Ma a ogni segreto rivelato, a ogni trauma che riaffiora, La donna alla finestra si fa sempre più grottesco, procedendo a passo un po’ goffo e pesante, soprattutto sul finale.
L’aspetto, però, più convincente del lavoro di Wright – oltre all’interpretazione di Amy Adams, donna distrutta e turbata, preda di un delirio claustrofobico – risulta essere il cuore del film: il ritornare, cioè, con insistenza sul rapporto tra privato e pubblico, e sugli strumenti che il singolo utilizza per relazionarsi con il mondo esterno. Da dentro si guarda fuori attraverso finestre, computer, cellulari, obiettivi fotografici. Quello di Anna (e il nostro) è un mondo popolato di schermi.