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La diseducazione di Cameron Post

Un coming of age che mescolando toni seri a momenti più leggeri mostra una fase della vita in cui l'identità è ancora in fase di definizione.

Le “terapie riparative” sono cicli di cura ad oggi quasi scomparsi ma in voga negli anni ‘90, con la presunta ambizione di riparare – ossia correggere – l’omosessualità di una persona, con la premessa che questa sia un errore o una sorta di malattia da guarire. Possono essere di tipo farmacologico oppure psicologico: in quest’ultimo frangente si annoverano istituti di correzione coordinati da psicologi e uomini di Chiesa che accolgono diversi adolescenti per il tempo necessario a terminare la terapia. Di fatto, si tratta di ragazzi che vi vengono mandati dagli stessi genitori poiché questi – abbracciando una fede cristiana di tipo conservatrice – vogliono vedere i propri figli orientati verso il sesso opposto.

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Il cambiamento deve giungere attraverso Dio, ma dentro di me io devo essere il cambiamento”.

La preghiera dei ragazzi dell’istituto God’s Promise ( = la Promessa di Dio) risuona come un mantra, recitata ugualmente da chi crede e chi è scettico di fronte al nuovo percorso spirituale. Cameron Post è tra le seconde: un’adolescente attratta dalle donne ma che rifiuta di essere etichettata come omosessuale (“Non mi ritengo un’omosessuale; in realtà non mi ritengo niente”, afferma in un colloquio), perché alla sua età l’identità è ancora in fase di definizione. Cameron (nome sia maschile che femminile tra gli anglosassoni) viene mandata alla struttura perché scoperta dal fidanzato mentre amoreggia con Coley, la ragazza di cui è innamorata; tuttavia resiste al tentativo di trovare una causa e una cura alla sua omosessualità tramite l’introspezione e gli insegnamenti della parola di Dio e stringe amicizia con due ragazzi scettici quanto lei. Fino a quando un evento terribile li fa pensare alla fuga.

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L’indagine morale della regista Desirée Akhavan verso la difficile condizione dei teenager obbligati a correggersi è piena di dolcezza e compassione. Il realismo della passione amorosa di Cameron e del suo istinto a conservare la propria indole (tutto degnamente interpretato da Chloë Grace Moretz) non viene edulcorato; anzi, Akhavan sceglie volutamente di mantenere toni seri alternati a momenti più leggeri, per mostrare come il mood di giornate tutte uguali possa infondere in un gruppo di adolescenti gli stati d’animo più disparati. L’ilarità talvolta nasconde una critica beffarda ad un sistema di insegnamento della religione sottilmente plasmato da chi lo appronta: lo sfruttamento dei precetti della Bibbia allo scopo di “correggere” qualcosa che inevitabilmente si formerà in maniera naturale appartiene ad una volontà tutta umana. Ma l’ingenuità adolescenziale di Cameron la porta da un lato a non capire il complesso trattamento a cui viene sottoposta e dall’altro ad un disorientamento che, paradossalmente, preserva la sua identità: quella, appunto, di “non ritenersi niente” e di perseguire la volontà di non seguire una corrente.

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