Immerso nella più totale noia di una piovosa domenica pomeriggio, ingannavo il tempo su YouTube. Tra un caso umano di Andrea Diprè, la scena finale de Il cavaliere oscuro e i dieci gol più belli di Andrij Shevchenko, la curiosità mi ha condotto a riguardare alcune sequenze tratte da film di una coppia di registi da me amata, Ciprì e Maresco, con protagonista il loro attore feticcio, Giuseppe Paviglianiti.
Paviglianiti è bellissimo nel suo essere irrimediabilmente antiestetico. Flaccido, unto e sudato, attore e cantante improvvisato, flatulente. Nel suo essere ripugnante, avvolto da un contesto fatiscente esaltato da un uso degradante del bianco e nero, Paviglianiti si erge a simbolo di un’umanità che si presenta senza filtri, di uno squallore così estremo che non può fare a meno di catturare l’attenzione dello spettatore. Sembra di avvertire nelle narici il suo fetore ma è qualcosa di ipnotico, come i suoi peti che fanno da coro a vecchie canzoni d’amore, in un tripudio del lercio che ne diviene esaltazione.
Guardando queste sequenze mi sorprendo a pensare a una scena che è agli antipodi rispetto a quella appena descritta: le inquadrature iniziali de Il disprezzo di Jean-Luc Godard. In una cornice ammaliante Camille, la divina Brigitte Bardot, è completamente nuda, ripresa di spalle, sdraiata su di un letto in cui è disteso anche il suo compagno, interpretato da Michel Piccoli. Con un tono di voce dolce e malizioso comincia a fare domande al partner sul suo corpo, chiedendo esplicitamente un giudizio su di esso. Questa sequenza è forse, a livello di impatto visivo, una delle, a mio parere, più belle di tutta la storia del cinema. Sembra di avvertire nelle narici il profumo delle lenzuola, in un contesto erotico ma allo stesso tempo divino, come se B.B fosse una dea, una ninfa a cui noi mortali non è concesso nemmeno di sfiorarla ma solo di adorarla.
Ma perché questa riflessione. Quello che all’inizio doveva essere una riflessione ironica si è trasformata in qualcosa di illuminante, forse di profondo. Il cinema è un caleidoscopio meraviglioso di volti e corpi che tendono alla bellezza e all’arte. La bellezza ha molte forme, si dice che è negli occhi di chi guarda, è un proverbio certo, ma è vero. Così anche un obeso signore siciliano incapace di recitare può tendere alla bellezza attraverso l’occhio della cinepresa, che esalta la sua persona, anche il suo essere ributtante al primo impatto visivo. Paviglianiti diventa un’entità come B.B, neanche lui può essere sfiorato, ma solo ammirato. Potere della cinepresa.