Nel 1968 lo scrittore americano Philip K. Dick scrisse quello che forse è diventato il suo romanzo più importante: Il cacciatore di androidi. Il titolo magari dice poco, ma da quel libro Ridley Scott ne trasse un film qualche anno dopo: Blade Runner. La atmosfere dove il reale e l’irreale si intrecciano, dove nulla è come sembra sono i temi intorno ai quali si snoda la trama del libro e quindi della pellicola. Questo incipit era dovuto per presentare una band italiana che per stile e sonorità si presterebbe alla perfezione per un’ipotetica colonna sonora di quel film; stiamo parlando dei Lazybones Flame Kids e del loro primo album: l’omonimo L.F.K.
Registrato da Gabriele Boi presso il Natural Head Quarter Studio di Manuele Fusaroli (Luci della centrale elettrica e Zen Circus), “L.F.K.” è ritorno al passato; la band ha deciso di utilizzare infatti strumenti, mixer e effetti tipici degli anni ’60 e ’70 con l’obiettivo di rendere l’album un viaggio pieno di risonanze vintage e aure evocative, conducendo l’ascoltatore fino ad una strada lastricata di post-rock dove una traccia come Too Close (insieme al folksinger Beeside) ne diviene il preciso punto d’arrivo.
Il primo singolo estratto dall’album A ride in an amusement park è un chiaro tributo al compianto comico Bill Hicks, con l’ultima strofa della canzone che è una citazione del suo ultimo spettacolo: Revelations. Sono minuti preziosi da non perdere, è un malinconico passaggio attraversato dalle sonorità che appartengono a The Van Pelt e American Football; è un brano che lascia dentro quel senso di alienazione tipico di un viaggiatore errante.
I chiari e decisi arpeggi di chitarra fanno da contraltare ad un cantato appena abbozzato, un piccolo sussurrio che in maniera flebile e centellinata, racchiude in sé una forza d’urto di qualcuno che sta lottando per far esplodere la propria voce. È un inno all’introspezione, un oscuro scrutare tra i sentieri più reconditi dell’animo umano. I sette pezzi che compongono L.F.K. si legano insieme alla perfezione e dipingono, quasi senza volerlo una tela in bianco e nero, dove la luce vien fuori grazie ai loro versi appena accennati.
Un esordio che convince sotto vari punti di vista (quello strumentale soprattutto), un lavoro pieno di stile personale arricchito da una cultura musicale che abbraccia decenni di storia del rock. Con i Lazybones Flame Kids niente è come sembra, il reale e l’irreale vengono messi sullo stesso piatto, proprio come se a dirigere il disco ci fosse il compianto Philip Dick in carne ed ossa.