Ci impieghi qualche istante a capire che sia decaduta la necessità di applicare il passaggio della sceneggiatura ad una storia reale per renderla più cinematografica e distinguere che si tratti di cinema, e non di reportage o documentario: questo accade ne L’amministratore di Vincenzo Marra. Ma non è un difetto in questa storia: l’indipendenza dei mezzi è palese ma qui favorevole alla narrazione, sorta di Neorealismo contemporaneo.
Napoli è uno di quei luoghi che facilmente si sono profilati nel tempo secondo l’affermarsi di luoghi comuni, come indubbia è la personalità sociale che la anima, anch’essa disegnata spesso per cliché. Ma Marra e il suo amministratore, l’avvocato Umberto Montella, interprete di sé stesso, ci raccontano invece il quartiere che contempla il Golfo come la Sanità con la stessa disponibilità, senza giudizio, senza colore forzato, rendendo questa storia universale, ovvero costellata di quelle persone, e delle loro dinamiche condominiali, che ovunque nel mondo possiamo riconoscere.
Quattro storie umane si intrecciano nell’arco di alcune stagioni dell’anno, lasso temporale che permette di verificare la dinamica delle relazioni soprattutto, in cui l’amministratore Montella si muove da coerente e costante diplomatico, secondo la filosofia del buon senso, della cortesia e un po’ della psicologia, che lo costringe a raccogliere le sfumature di ciascun condomino per estrapolarne poi la disponibilità, la ragionevolezza, la tolleranza.
Certo la napoletanità degli interpreti, veri, si connota in maniera specifica, donando vivacità al racconto e alla personalità delle persone ma non riducendoli al macchiettismo, anzi. C’è uno spunto non scontato, un personaggio non ricorrente nelle storie per il cinema, una personalità regionale di spicco ma universalizzata, insomma la povertà tecnica, la percezione che non ci sia patina da pellicola, si avverte ma non si soffre quando, come Vincenzo Marra fa succedere, c’è un’idea di racconto, che domina qualsiasi altro aspetto produttivo.