Nell’epoca della Rivoluzione culturale di Mao, due giovani studenti di città sono mandati nelle sterminate valli della Mongolia, popolata da una comunità di pastori nomadi, con l’obiettivo di educarli alla nascente civiltà. Sottomessi ai dictat del potere centrale, i mongoli, fino a quel momento in perfetto equilibrio con la natura ospitale, sono costretti loro malgrado a sterminare tutti i lupi. Ma Chen Zhen, uno dei due giovani, affascinato da questi fieri animali, decide di salvare e allevare in segreto un cucciolo, violando al tempo stesso le regole comuniste e mongole.
Lascia a bocca aperta Jean Jacques Annaud: in positivo per la spettacolarità dei paesaggi, in negativo per la mediocrità di un film con ben poca ragione di esistere. Esercizio di virtù nella fase di preparazione, che ha impegnato allevatori e lupi per diversi mesi, il risultato è dal punto di vista circense un vero capolavoro, visto come i lupi rispondono ai comandi. Ma dietro al risultato tecnico non emergono altri evidenti punti di forza. Come favola ecologica è ben poco appassionante e probabilmente anche un pubblico di bambini e ragazzi, abituato ai ritmi e all'azione dei film contemporanei pensati per loro, costruiti per tenere alta l'attenzione di generazioni native digitali dal pollice facile, non darebbe parere positivo.
Come racconto antropologico e sociale non offre molti spunti di riflessione. Il prepotente colonialismo culturale comunista, la crisi di identità del nomadismo mongolo, l'incontro scontro tra tradizioni e verità imposte sono temi accennati e facilmente oscurati dalle vicende del giovane lupo scampato al massacro e del suo padrone che, più con ingenuità che con coraggio, infrange tutte le norme. Nel film, la prepotenza del regime di Mao si incrocia con la violenza mongola nel massacro dei cuccioli, voluta dal primo e portata avanti dai secondi che lanciano in aria i piccoli lupi, tenendoli per la coda, seguendoli con lo sguardo fino a che si schiantano al suolo. E questo metodo è ciò che più impressiona rispetto ad ogni altra cosa in queste due lente ore di film.
Se i contenuti latitano, lo stesso si può dire dell'avventura, che si propone con un meccanismo ripetitivo, nel quale ogni volta i lupi, per fame e per vendetta, si appostano, creano scompiglio, si ritirano. L'uomo ha sconvolto l’ordine naturale delle cose. E l'ambiente, capace di un magico equilibrio autogestito, non può che ribellarsi per riportare ordine. Questa la morale di una favola ambientalista, firmata nei titoli di coda dal WWF, che forse sperava in un film di ben maggiore impatto. Niente da fare, purtroppo. Nulla impressiona. Nemmeno le suggestioni della vita nomade e i racconti del vecchio saggio del villaggio trovano espressione poetica. Nemmeno le nubi che goffamente sorridono o che, riunite a forma di lupo, celebrano la libertà dell'ultimo animale sopravvissuto alla strage. Accontentiamoci dei paesaggi.