Il grido indomito di Desdemona
Balletto Civile presenta Killing Desdemona all’Angelo Mai
A pochi giorni dalla manifestazione nazionale contro la violenza di genere, la scena della morte di Desdemona può caricarsi di un sotto-testo ancora più gravido di significato, inducendo a riflessioni che sconfinano dall’Otello di Shakespeare per agganciarsi direttamente all’attualità più viva e sofferta di questo momento. Perché, se ci pensiamo bene, il destino della giovane donna uccisa dalla gelosia furente e ingiustificata del marito è la storia silenziosa di una violenza tragicamente nota nelle pagine di cronaca. E in fondo, Shakespeare ha dimostrato che Jago non è che una mostruosa proiezione mentale che può essere partorita pericolosamente anche dalla mente più ragionevole.
Certo, circoscrivere l’Otello ad una storia di violenza domestica sarebbe fin troppo riduttivo, infatti Balletto Civile, con la sua versione di Killing Desdemona presentata all’Angelo Mai, sicuramente non ne intacca la complessità; fatto sta, però, che il baricentro dell’attenzione è spostato soprattutto su di lei: Desdemona, ovvero l’indomita Michela Lucenti, un fuscello fragile ma al contempo di detonante intensità, struggente e ingenua, innocente e sensuale proprio come il mistero che l’essere donna porta con sé.
L’interpretazione è quella classica, i personaggi sono chi e cosa ci si aspetta: Otello (Demian Troiano) è il valoroso “Moro” condottiero dell’esercito veneziano sicuro di sé quanto vulnerabile; Jago (Maurizio Camilli) il suo livido alfiere che per brama di potere provocherà la sua gelosia ordendo l’inesistente intrigo tra Desdemona e Cassio (Andrea Capaldi); quest’ultimo è un tombeur de femmes tormentato dalla sua debolezza; mentre Roderigo (Fabio Bergaglio) è il povero diavolo prima vittima di Jago.
Così Michela Lucenti e Maurizio Camilli, autori della drammaturgia, non fanno che scavare nell’essenza di ognuno per estrapolare dai personaggi il loro nucleo più intimo, esasperato, disperato o parodico, traducendo il canovaccio della trama di Otello in una scrittura prima di tutto dei e per i corpi: sempre in sussulto, sconquassati dalle emozioni debordanti, le cui traiettorie si scontrano e s’incontrano senza sosta in un’arena a vista – abitata solo da sedie, microfoni e una “Zona” rialzata sul fondo che è l’unica custode della verità – dove ogni parola sussurrata, riverberata in echi o amplificata dalle sonorità drammaturgicamente pregnanti di Jochen Arbeit (Einstürzende Neubauten) sfocia ora nel canto, ora in un movimento che asseconda il fluire dei sentimenti e della loro ineffabilità. Una scrittura coreografica che, a nostro avviso, potrebbe trovare un’espressione ancora più incisiva, come anche alcune parti recitate che a volte risentono di una disomogeneità interpretativa.
Killing Desdemona è l’affiorare di una fragilità declinata al femminile, è il “Canto del Salice” che, lungi dall’essere una dimessa dichiarazione di resa, diventa il disperato grido liberatorio di una Desdemona che agogna una nuova consapevolezza; lo stesso grido di tutte le donne in carne e ossa che lei, suo malgrado, rappresenta. Una volta ultimato il suo ultimo sacrificio, però, ecco che tutto finisce, in modo significativo.
Dopo il peccato inaudito, l’errore eclatante – sembra dire Balletto Civile – nessuna redenzione è più possibile. Rimane soltanto il buio della follia cieca.
Ascolto consigliato
Angelo Mai, Roma – 19 novembre 2016
(Foto ©Andrea Macchia, per gentile concessione Festival della Colline Torinesi)