Jupiter – Il destino dell’universo – Andy & Lana Wachowski
Come scritto nella loro pagina Wikipedia: i fratelli Wachowski «sono principalmente conosciuti per aver ideato la saga di Matrix». Quello che i due registi rischiano è che il principalmente si trasformi in esclusivamente. L'ultima fatica dei due cineasti americani è Jupiter – Il destino dell’universo, un dramma fantascientifico che mette in scena un cast eccezionale per una storia troppo convenzionale. Il potenziale narrativo messo in campo dall'inizio della trama sfocia nella più banale e prevedibile delle soluzioni possibili, lasciando incredulo lo spettatore la cui attesa era quella di vedere un film complesso, così come ci hanno abituato i Wachowski, e invece si ritrova con un dimenticabile film di fantascienza. Quasi un b-movie con un budget troppo generoso, firmato da registi che hanno, invece, dimostrato di essere in grado di comporre opere magistrali.
Il potenziale espressivo tipico della poetica dei Wachowski c'è tutto: un'anonima umana, Jupiter Jones (Mila Kunis), novella Cenerentola, si ritrova coinvolta nella battaglia familiare dell'aliena famiglia di industriali, gli Abrasax, poiché in lei risiede casualmente il DNA della matriarca Seraphi, uccisa prima di sconvolgere per sempre i fruttuosi affari di famiglia degli Abrasax. Detta così sembra complicata e perfino interessante, ma il risultato è piuttosto scadente: Jupiter entra in contatto con i tre fratelli, posti su una poco coinvolgente scala di cattiveria ascendente, fino al finale che qui non scrivo, ma che si può immaginare facilmente.
In tutti i manuali di sceneggiatura si cita l'opera più famosa di Christopher Vogler, Il viaggio dell'eroe, uno scritto che elenca schematicamente per tappe e per tipi di personaggio quella che è la mappa consigliata (la forma più classica) per la struttura di una storia. Jupiter – Il destino dell'universo segue il modello in modo fastidiosamente pedissequo, producendo quel risultato di deja-vu che non ci si aspetterebbe da un film dei Wachowski. E non è tutto qua: molte situazioni restano campate per aria, gli eventi si risolvono il più delle volte in modo del tutto inspiegabile e, cosa ancora più grave, la protagonista della storia appare spaesata, senza un obiettivo chiaro per cui combattere. I personaggi restano appiattiti sulle loro caratteristiche iniziali, senza subire alcuno sviluppo psicologico degno di nota.
A salvare il film sono ancora una volta gli effetti speciali, titanica impresa sorretta da un 3D fluido, anche se narrativamente poco sfruttato. Le geometriche città, i cieli iperrealisti e però pittorici, le battaglie spaziali tra navicelle che sparano laser sono una gioia solo dal punto di vista estetico e non giovano a un prodotto che non si può che definire freddo. Fredde sono anche le interpretazioni degli attori: Mila Kunis, Channing Tatum, Eddie Redmayne, Sean Bean e Douglas Booth. Tutti glaciali allo stesso modo, distanti e plastici nei rispettivi ruoli: si fa presto a dimenticare il climax degli eventi che dovrebbe emozionare lo spettatore. Dall'estremo livello di complicazione di Cloud Atlas, i Wachowski sono approdati al lato apposto della riduttiva semplicità, per tirare fuori un prodotto che dimenticheremo molto presto.