Il grido inesausto della Beat Generation
'Juke box all'idrogeno' con Vito Signorile
A cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, un gruppo d’intellettuali statunitensi tramutava la propria amicizia in un vero e proprio manifesto esistenziale: nasceva la Beat Generation. «Un gruppo di bambini all’angolo della strada che parlano della fine del mondo», la definì in così Jack Kerouac, autore di On the Road, considerato, con l’Urlo di Allen Ginsberg e Il pasto nudo di William Burroughs, testo sacro di tale movimento. Il bersaglio preso di mira era quell’America raffigurabile con il volto rassicurante di un padre di famiglia in giacca, cravatta e sorriso stampato sulla bocca. Una terra prospera e felice che di lì a poco andava a bombardare il Vietnam. Rifiuto del consumismo, impegno pacifista ed eccessi di ogni tipo: erano questi i cardini di un movimento che forse mai ha veicolato un’intera generazione verso un contrasto così netto nei confronti di quella precedente.
La ribellione, la solitudine dell’uomo moderno, il fuoco (soffocato) dell’anima, il viaggio, il desiderio di andare contro corrente, difficile non ritrovare alcune delle tematiche dei lungimiranti poeti beat nei giorni d’oggi. Ed è proprio dai versi di Leroy Jones, Raymond Carver, Kerouac e Ginsberg che trae linfa vitale lo spettacolo di Vito Signorile Juke box all’idrogeno, chiaro rimando all’omonima raccolta di poesie del barbuto santone di Newark. Su un percorso musicale di Roberto Ottaviano (anche al sax), coadiuvato da Franco Angiulo (trombone), Nando Di Modugno (chitarra), Vito Di Modugno (organo hammond e contrabbasso), Marcello Magliocchi (percussioni), e Vittorino Curci (sax e versi); Signorile recita alcuni dei versi più significativi di questi poeti.
Il palco del Teatro Abeliano si veste di vintage per l’occasione. I musicisti e la voce narrante sono disposti lungo un immaginario semicerchio e circondati da mobili d’epoca. Alle loro spalle una finestra, un pannello su cui, nel finale, vengono proiettate le immagini più crude degli Stati Uniti d’America e dei muri sui quali riecheggia la voce delle due decadi di riferimento. Charlie Parker prega per noi, I have a dream, No Vietnam, Un dio clandestino, le foto di Martin Luther King, Malcolm X e Che Guevara: i muri parlano attraverso frasi e immagini.
Su questa scena la musica della band diventa, di volta in volta, sottofondo per l’appassionata lettura di Signorile, collante tra i versi tramite riusciti fraseggi, o perfino mezzo per sovrastare la voce. Un mix di musica e parole che, nella sua linearità, ha talvolta dei guizzi, due in particolare, degni di nota: Voi non sapete cos’è l’amore, poesia di Carver recitata con un megafono da Vittorino Curci e che ha strappato non pochi sorrisi; e l’Urlo di Ginsberg, lettura suggestiva di Signorile, accompagnata anche da un allucinata versione jazz di Stars Spangled Banner.
Un grido a una situazione degradante, oggi come sessanta anni fa.
Ascolto consigliato
Teatro Abeliano, Bari – 1 novembre 2015