Italia ’15-’18 – Alessandra Fallucchi
Storie comuni del Tempo di Guerra
Ma lei che lo amava
aspettava il ritorno
d’un soldato vivo,
d’un eroe morto
che ne farà.
La Guerra Mondiale, la Grande Guerra, la Guerra Inutile: a distanza di un secolo, tutta la carica evocativa di questi battesimi postumi non basta più a ricordare la guerra dei senza volto, il fronte di quegli eroi dall’identità soffocata in una maschera antigas.
Eppure anche la Prima Guerra Mondiale ha avuto i suoi diari, le sue cartoline dalla trincea: testimonianze private, lettere mai consegnate, umanità nascoste tra le fotografie sbiadite di vedove per caso e di soldati per forza. Italia 15/18 Storie comuni del tempo di guerra rispolvera questi diari e trasforma lo spettatore in un testimone della normalità della vita che sopravvive alla guerra.
Un menestrello della trincea (Marco Foscari) innesca la bomba: un arpeggio di chitarra, una voce che intona stamattina si va all’assalto… ed ecco comparire tre anime in uniforme (Alessandro Cecchini, Francesco Mantuano, Marco Usai), tre simboli dialettali di un’ Italia unita, almeno in trincea. La vita al fronte appare come la ricerca di una normalità domestica perduta; i tre soldati si confidano, esorcizzano le paure, piangono, ridono e poi scrivono: una guerra d’alfabetizzazione necessaria per mantenere viva la speranza di poter compiere aggrappati a quelle lettere il viaggio di ritorno a casa.
Mentre il contrappunto musicale cuce i ricordi alle vite, ai tre soldatini si sovrappongono sei donne (Ilaria Baiocco, Ilaria Canalini, Barbara Ciacci, Ludovica Di Donato, Sonia Melchiorri, Sara Meoni), sei anime in battaglia schierate su un fronte diverso, quello della resistenza silenziosa e cocciuta di chi aveva la carne in pace e l’anima in guerra. La regia di Alessandra Fallucchi sposta l’accento drammaturgico proprio su queste ultime, una prospettiva che scrosta via la storiografia maschilizzata e racconta di quelle femmine che caricarono l’Italia sulle proprie spalle, mandando avanti le case, le campagne, addirittura le industrie, sovvertendo le gerarchie sociali.
Crocerossine e prostitute di reggimento inviate al fronte, deportate in fabbrica o costrette all’immobilità domestica, novelle sposine e poi vedove di vent’anni: sulla scena si susseguono le testimonianze di queste spie del cuore, mogli e madri a cui la guerra ha negato ogni licenza d’amore. Attraverso il canto del trovatore di dolori, unito alle voci dei soldati e delle donne coinvolte in quell’ assurdo macello iniziato a Sarajevo cent’anni fa, si compone un quadro, una sorta di Quinto Stato in cui la coscienza dell’orrore si confonde con la conoscenza dell’errore: la guerra.
Un musical della trincea, una bomba intelligente che la compagnia di giovani attori Il carro dell’Orsa sgancia per ricongiungere idealmente la carne da cannone all’anima di chi ancora oggi uccide per onorare una bandiera, disonorando – di fatto – la vita.
Era partito per fare la guerra
per dare il suo aiuto alla sia terra,
gli avevano dato le mostrine e le stelle
e il consiglio di vendere cara la pelle;
quando gli dissero di andare avanti
troppo lontano si spinse a cercare la verità.
Ora che è morto la patria si gloria
d’un altro eroe alla memoria
Ascolto consigliato
Teatro Due, Roma – 10 dicembre 2014