L’esercizio dell’indipendenza
All'IT Festival nasce un nuovo pubblico
Sappiamo intercettare i segnali? Come una frase, ad esempio, trovata per caso, per strada, su un muro, grezzo, le macchie di colore, il tratto nervoso: «Di una città non godi le sue meraviglie ma la risposta che dà a una tua domanda».
Certo, letta così si è tentati a darle poco peso, magari a qualcuno parrà anche un po’ banale, però basta aggiungere un piccolo particolare tra parentesi che tutto cambia: (I. Calvino). Cos’è a fare la differenza?
I condizionamenti sono una brutta bestia: per un verso o per l’altro, nessuno ne è immune. Basta un nome ed ecco che si innescano fiducie e diffidenze, con buona pace dell’astrazione da pregiudizi. Ma quando quella sicurezza del nome non c’è? Quando la firma sul muro si cancella e rimane solo la frase, a fianco a tante altre, cosa accade?
Questo esercizio di incertezza lo si può sperimentare a Milano, a pochi passi da Porta Garibaldi. Dal 13 al 15 maggio, infatti, nel vasto complesso de La Fabbrica del Vapore (5 mila metri quadri, 15 lotti che a luglio saranno riassegnati ai vincitori del bando) è stata ospitata la quarta edizione dell’IT-Independent Theatre Festival. Un festival dal basso nato dalla volontà delle compagnie principalmente milanesi, spesso escluse dal circuito teatrale cittadino, di portare in scena le proprie creazioni. O per lo meno, un assaggio.
All’IT Festival, infatti, gli spettacoli embrionali o compiuti che siano durano una ventina di minuti soltanto. Così, ogni giorno, alle 18:30 scatta la maratona: biglietto, fila, spettacolo, biglietto, fila, spettacolo, da una sala all’altra, per non rimanere in piedi o a volte addirittura fuori; teatro, danza, performance, cabaret, reading, circo, c’è un po’ di tutto, di mezzora in mezzora, corto dopo corto, fino alle 23:30 (compresa un’intelligente pausa cena alle otto nell’area ristoro tra i chioschi di street food). Poi a Mezzanotte, prima di tirare il fiato, si apre TalkIT: le compagnie si incontrano con gli spettatori più “autorevoli” presenti (critici, artisti, operatori) per raccontare il proprio progetto e ricevere impressioni, suggerimenti e considerazioni; ma per chi proprio non ce la fa più e ormai vuole solo rilassarsi, intanto, attorno all’area bar, parte il concerto o dj set della serata.
Ora. Non essendoci una vera e propria scrematura, difficilmente si assiste a spettacoli degni di nota (la nostra è una visione ovviamente parziale, di soli due giorni). Spesso prevale il pressapochismo di chi non ha ancora maturato una consapevolezza del proprio “creare”: c’è un’intuizione, un espediente più o meno accattivante, sì, ma poi il più delle volte il corto procede per esaurimento di idee. Una tendenza, questa, che purtroppo si riscontra sempre più di frequente perfino nelle realtà teatrali nazionali più affermate. Ciò, a dire che anche dal sottobosco non sembrano emergere, per ora, stimolanti controtendenze (felice eccezione, oltre all’ormai affermato drammaturgo internazionale Davide Carnevali, il nuovo lavoro di ORTIKA Erinni : la presenza mesmerizzante di Alice Conti riesce a catturare ogni attenzione anche laddove lo sviluppo del corto non sempre orienti lo spettatore nella fitta trama dei segni disseminati).
A questo proposito però è interessante notare come l’effetto maratona inneschi un curioso processo di relativizzazione. Per cui, uscendo da un corto che rasenta il dilettantismo ecco che d’improvviso il seguente semplicemente più strutturato potrà apparirci un ottimo spettacolo, mentre magari visto isolatamente difficilmente avrebbe incontrato il nostro favore. Questo, lungi da facili giudizi, porta a riflettere sull’attenzione che normalmente siamo portati a porre sul contesto e di conseguenza sull’influenza che quest’ultimo esercita sulle nostre esperienze. In parole povere. Ci rendiamo conto di quando diamo un giudizio relativo e quando uno assoluto? Cosa teniamo in considerazione? Cosa tralasciamo? E perché?
Un’ultima considerazione. All’IT Festival si incontra un pubblico trasversale, spesso molto giovane, che con buona probabilità a teatro, anche nei teatri off, non ci va quasi, se non, mai. E la misura dell’apprezzamento, qui, il più delle volte, non va calcolata in durata degli applausi (anche perché tempo per applaudire ce n’è poco) ma in risa: se ridono vuol dire che non si annoiano. Quindi, che lo spettacolo piace. Il fatto, però, è che non sempre c’è una buona ragione per ridere, e quella risata insistita, nervosa, a tratti compulsiva, offre una testimonianza di come sia cambiato il pubblico negli ultimi tempi.
Complici vent’anni di a-cultura berlusconiana (che attraverso i suoi media ha rovesciato nel mercato culturale il peggio del consumismo massivo di matrice statunitense) e questa nuova era di onanismo 2.0, si sta affermando sempre di più soprattutto nelle ultime generazioni la tendenza alla cosiddetta instant gratification: voglio una cosa, la devo avere subito. È la logica che lega con un filo rosso tutte le tendenze contemporanee: il fast food, gli shot, i selfie, i tweet, i video di trenta secondi, il bizzarro ritorno delle gif, perfino le droghe che un tempo erano rituali e naturali ora sono sintetiche e dall’effetto immediato.
A teatro (come in politica) l’instant gratification si traduce in picchi di “sensazione”: per valutare se uno spettacolo è riuscito, se è piaciuto, non lo si osserva più nella sua complessità ma nei suoi lampi improvvisi. Ecco perché ultimamente siamo sommersi da spettacoli pieni di “begli” espedienti, perché ormai bastano quelli: chi ha più la pazienza di farsi delle domande, riflettere, prendersi il tempo di non avere una risposta immediata?
L’IT Festival è indiscutibilmente una nuova realtà che merita di essere sostenuta e presa a modello: il pubblico c’è ed è un vero pubblico, cioè felicemente eterogeneo. Così come il suo paradigma di estrema orizzontalità, pur nell’imprevedibilità di ciò che si andrà a vedere ha una coerenza che in fondo ha senso continuare a mantenere. Pertanto, al di là del fisiologico miglioramento di questioni meramente logistiche che sicuramente verrà da sé (come, ad esempio, inserire se non una gradinata almeno un palco rialzato), ciò che forse potrebbe arricchire l’IT Festival senza snaturarlo potrebbe essere creare dei momenti di incontro innanzitutto con il pubblico, così da intercettare quelle domande che parafrasando Calvino rimangono sospese nell’aria e anzichémeravigliare (o divertire) provare a offrire loro una risposta.
(Foto © Elisabetta Brian | Anna Paola Montuoro | Rosalba Amorelli | Federica Paoletti)
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ITFestival: il teatro per frammenti che ha conquistato Milano,di Andrea Pocosgnich (TeatroeCritica)
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La Fabbrica del Vapore, Milano – 14 e 15 maggio 2016