Stiamo già parlando di quarto album. Cioè ci avete pensato, non sono pochi quattro album in questa attualità e cultura musicale che ti dimentica dopo che per il primo ti osanna, per il secondo ti cita a malapena, il terzo manco sanno se esce e il quarto ti hanno già seppellito, artisticamente parlando.
Non è questo il caso fortunatamente di Giuseppe Peveri, meglio conosciuto come Dente. I titoli sono sempre il suo forte, con giochi di parole, e Io tra di Noi non è l'eccezione e conferma la regola. Nell'intervista che feci più di un anno fa a Dente sul futuro titolo ci ho azzeccato solo il tra e mi ritengo discretamente soddisfatto. Son mica Frate Indovino dei calendari!
Nessuna lunga introduzione strumentale a far da richiamo, come nel precedente lavoro in cui La Presunta Santità di Irene era una citazione ad Anima Latina di Lucio Battisti; è così che inizia Dente, voce e chitarra, malinconico, evocativo di un ricordo andato a male, dove la non-azione si prende il ruolo fondamentale di tutto in Due Volte Niente, in mezzo a due persone, una volta un noi ora solo un io e un tu. Intimamente toccante, arriva davvero dentro subito sia col testo che con le note, termina ma vorresti continuasse un po', ma non servirebbe perché ne rovinerebbe l'essenzialità,
«Non serve a niente fare finta di niente come se io e te non esistesse più»
In Piccolo Destino Ridicolo torna il caro Dente polemico, pungente e sarcastico quello che ti fa pensare cose che per essere politically correct non avevi osato pensare, invece lui te le mette sul piatto con disinvoltura ed educazione che manco ti accorgi di quanto sia acuminato il suo doppio senso.
Saldati è onomatopeica fra boom, bada bum, shhh e un fafarafa fa fa ra da fischiettare in ogni momento con l'apertura piacevole nel ritornello che corona a dovere la melodia e citazione ungarettiana reinterpretata in un fuori stagione di “So(a)ldati”.
In Casa Tua ci sento Battiato. Sì, l'aura solenne e pacata di Battiato intendo, con cui Dente descrive il corpo di lei. Ecco lo so già che verrò smentito, però senza far troppa fatica con l'immaginazione:
«che è un sentiero nel mezzo che porta a un pozzo e intorno cupole di cattedrali», mi fa venire in mente le piacevoli bellezze femminili. «da cui i miei occhi non vanno più via, dove se chiedi una promessa è molto facile che non ci sia». Va bene dopo questa, riconfermo più di prima.
Si passa poi dalla dolce ma breve ninna nanna Cuore di Pietra al clima da disco music e ricordi di fine anni '70 primi '80, in Giudizi Universatili un po' Renato Zero ma soprattutto il Lucio Dalla di Futura (1980) mentre Da Varese a Quel Paese suona bene, viaggia scorrevole, musicalmente piacevole con qualche innesto di sax di Enrico Gabrielli (anche flauto, ex Afterhours e ora Mariposa) mentre come cantato riporta un po' al precedente lavoro.
Meticoloso come sempre in tutti gli arrangiamenti Dente anche se in quest'album ha avuto a disposizione la band (Andrea Cipelli, Gianluca Gambini e Nicola Faimali) con cui ha suonato tutto il precedente tour, oltre che il fondamentale apporto di ottimi musicisti come il già citato Gabrielli e Rodrigo D’Erasmo (Afterhours), il tutto sotto l'occhio vigile di Tommaso Colliva (ideatore dei Calibro 35 e fonico dei Muse).
Avvolta invece di leggera cupezza Io sì dove ritorna l’eco mai nascosto del Battisti di Anima Latina, Puntino sulla I passa piano senza eccessi come La Settimana Enigmatica. I fiati la fanno da padrone nella coralità del Pensiero Associativo, immediata e gioiosa, in cui la band accompagna pienamente il pezzo in un legame indissoluto e in questo lavoro oramai consolidato.
La conclusione è Rette Parallele un brano dove spicca la genialità di Dente che ne evidenzia la capacità di battere sentieri da lui poco praticati – quelli che nell'album spiccano per maggior brillantezza e appunto audacia.
La parola emergente per Dente va definitivamente in pensione, confermandosi con quest'album, ponendosi a metà tra il lui passato e il se stesso futuro senza però ahimè lasciarsi andare troppo in nessuna delle due direzioni, eccesso che uno come lui si sarebbe potuto concedere.
Dimenticavo, le due rette non si rincontrano, l'inverno e l’estate sono troppo lontani l’uno dall'altro, su rotaie diverse, modi e tempi differenti di agire e pensare, non si rincontreranno mai, finisce tutto in una coda di festose percussioni brasiliane che non vi aspettereste ma che una volta sentita sarà l’unica adatta e insostituibile. Meglio così, ognuno per la propria strada. E festa sia!
Certezza.