Intervista ai Venus in Furs @ Lapsus, Torino
Venerdì 5 aprile, i Venus in Furs, giovane quartetto pisano di cui vi avevamo già parlato l’anno scorso dopo l’uscita del loro primo album Siamo pur sempre animali, ha suonato a Torino, al Lapsus, per presentare il loro nuovo disco BRA! che potrete ascoltare dal 15 aprile. Abbiamo avuto la fortuna di farci una bella chiacchierata di quasi due ore e queste sono solo alcune delle domande che ho avuto il piacere di porgli. Dal vivo non deludono mai, energici e senza filtri, sono riusciti a riempire una pista completamente vuota da inizio a fine concerto. Innamorati di Torino torneranno a farci visita molto presto, non perdetevi i prossimi live! In attesa di sentirli suonare nuovamente ascoltate quello che ci hanno detto, Claudio Terreni, voce e chitarra, Marco Doni, basso e chitarra e Giampiero Silvi, violino e organo.
Cos’è cambiato rispetto a un anno fa ora che siete voi quelli ad aver ottenuto una certa notorietà?
Marco Doni: Ci siamo tenuti un po’ più indipendenti e distaccati da un certo tipo di scena che alla fine ci riguardava più territorialmente che musicalmente e allontanandoci dai nostri confini abbiamo optato per altri tipi di ricerca. Anche nel mondo emergente c’è molta casta, guardando solo la programmazione che c’è in giro, a suonare sono sempre i soliti gruppi gestiti dalle stesse realtà, che da una parte è un bene, ma dall’altra è limitante.
Dal punto di vista della scrittura dei pezzi, invece, rispetto all’album precedente, sembrate più arrabbiati, lo si sente anche dai suoni, perché?
Claudio Terreni: La gestazione di un anno sul disco è normale, siamo stati anche più veloci a raggruppare i pezzi rispetto al primo disco. Il cambiamento principale è stato per quanto riguarda il formato, che appare come penna USB, ovvero una key-play, meno ingombrante di un cd o di un vinile. Certo, anche il contenuto non è più lo stesso, mutano i periodi, le situazioni personali e gli equilibri, figurati è cambiata una nazione intera, vuoi che non si trasformi nel piccolo?! Si è cercato, poi, di includere molti meno pezzi, dando più spazio alla singola canzone.
Giampiero Silvi: Abbiamo scelto di riunire un certo numero di brani che fossero rappresentativi per noi in questo momento e che potessero seguire una direzione univoca.
M.D: Alla fine BRA! Braccia Rubate all’Agricoltura è un po’ una storia unica e se si guarda bene c’è un minimo comune multiplo. Il primo disco era di tredici pezzi ed eterogeneo, qui le scelte sono state molto diverse.
La stesura di questo disco è influenzata dalla condizione attuale del nostro Paese o da un determinato momento privato?
M.D: In BRA! c’è sicuramente molta più ironia. Lo stesso Braccia Rubate all’Agricoltura descrive il ragazzo medio di oggi, che vive fuori sede credendo di essere indipendente, ma che in realtà continua a vivere sulle spalle di papà. E’ un pezzo che riguarda noi e una generazione. A livello di suoni potrà essere più cattivo, ma per quanto riguarda i testi è certamente più ironico.
Tra l’altro perché avete scelto questo titolo, BRA!?
In coro: Perché abbiamo sempre pensato che l’agricoltura fosse la nostra vera vocazione. (ridono)
Siete arrivati tra i 48 finalisti per le selezioni delle sei band emergenti che suoneranno al Concerto del Primo Maggio. Cos’altro avete in serbo tra i vostri progetti?
C.T: Adesso aspettiamo i risultati, confidiamo nella giuria che già ci ha portato in finale.
M.D: Non pensavamo neanche tra 700 band di arrivare in finale.
C.T: Sennò ci tocca vederla su Raitre.
Come vi immaginate su quel palco?
C.T: Che gufata!
G.S: Se passassimo ci ritroveremmo nel giorno di affluenza massima di ragazzi a cui piace un genere di musica che non è proprio il nostro, più Ska. Quindi sarebbe divertente vederli sotto le note di Leggings.
C.T: Non capita tutti i giorni di trovarsi in una giornata del genere. Adesso comunque torneremo in sala prove perché abbiamo da registrare ancora altri pezzi.
Quindi già un terzo album in arrivo?
G.S: Il materiale c’è, quindi perché no?!
M.D: Quando arriviamo al quarto ci compriamo il trattore.
G.S: Ed io e il batterista coltiviamo il campo.
Una domanda un po’ più seria, ma che non vuole essere neppure troppo seria: secondo voi siamo un paese che guarda e che desidera soltanto partecipare ai talent show o siamo ancora in grado di dare importanza ai piccoli live di provincia e non solo?
G.S: Non me la sento di essere né troppo pessimista, ma neppure molto ottimista. In questo momento l’Italia vive una situazione frammentaria e di caos, vedremo dove andrà a confluire, sperando che sia qualcosa di buono.
Come sentite il pubblico ai vostri concerti?
C.T: Sicuramente siamo una nazione che vede X-Factor e The Voice, ma stasera i Ministri erano anche sold out qui a Torino. Capitano casi molto positivi, altri un po’ meno. Quelli con molta qualità alla fine ottengono risultati.