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Insyriated

Tra campo e fuori campo, una visione claustrofobica sull'orrore della guerra

All’interno di un appartamento, mentre fuori infuria la guerra civile, una donna, Oum Yazan (Hiam Abbass) offre rifugio ai suoi tre figli, ad una coppia di giovani genitori suoi vicini di casa, alla domestica e all’anziano genitore. Quando la violenza più brutale invade anche le mura domestiche il fragile equilibrio di questa piccola comunità viene messo a dura prova. Al suo secondo lungometraggio, il belga Philippe Van Leeuw, già direttore della fotografia per Bruno Dumont, offre uno dei più convincenti racconti di guerra del cinema contemporaneo, presentato alla Berlinale e alla Festa del cinema di Roma 2017. Accostabile a Lebanon di Samuel Maoz, Leone d’oro a Venezia nel 2009, sceglie di raccontare il conflitto da un punto di vista singolare e “chiuso”. Se nel film di Maoz la guerra era vissuta dai protagonisti e dallo spettatore dall’interno di un carro armato, Insyriated astrae le complesse dinamiche della guerra civile siriana riportandole all’essenza di un microcosmo domestico. Dentro le mura di casa sua la protagonista, una eccellente Hiam Abbass, accoglie tre generazione di “profughi”, significativa metafora di un popolo costretto da troppo tempo a sopportare le drammatiche limitazioni della libertà imposte dal regime e gli orrori della guerra.

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Nella sua efficace costruzione, Insyriated rivela molteplici spunti di riflessione a più livelli di lettura. Il dialogo tra campo e fuori campo, con una netta preponderanza del non-visto rispetto a ciò che viene mostrato, e la fondamentale importanza del sonoro, è uno dei più rilevanti. Basta osservare quanto siano cruciali nelle dinamiche del film gli elementi di separazione tra interno ed esterno (tende, finestre, porte) e come tutti gli snodi narrativi principali della trama si addensino intorno a queste linee di confine, insieme fisiche e metaforiche. Altro elemento da sottolineare è il rispetto rigoroso delle 3 unità aristoteliche (tempo, luogo e azione), che obbliga lo spettatore a percepire in modo fisico l’esperienza claustrofobica e asfissiante vissuta dai protagonisti. Fedele agli insegnamenti di un maestro dell’economia di mezzi come Jacques Tourneur, Van Leeuw riesce, grazie a scelte così radicali, a mantenere un eccellente livello di tensione drammatica lungo l’arco di tutti gli 85 minuti del film, senza cedere mai al facile colpo ad effetto.

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Girato dopo anni di contatto diretto del regista con la difficile situazione, analoga a quella siriana, in Libano e sceneggiato dallo stesso Van Leeuw sulla scorta delle osservazioni di registi siriani in esilio come Hala Mohammad e Meyar al-Roumi, Insyriated propone, nei giorni di una nuova escalation del conflitto siriano, uno sguardo diverso e prezioso su quello scenario. Distillando un “gruppo di famiglia in un interno” iscritto dentro il quadro insondabile di una guerra infinita e totale, Van Leeuw universalizza le dinamiche di un conflitto che suggerisce analogie con innumerevoli altri scenari di guerra disseminati per il pianeta. In fondo, al netto di intricate congetture geopolitiche, quella del popolo siriano non è che una legittima rivendicazione di libertà, pace e autodeterminazione. Una rivendicazione di cui, tuttavia, ancora stentiamo a percepire la voce in occidente e che il cinema può cominciare concretamente a testimoniare. Fatta eccezione per Hiam Abbass e Diamand Abou Abboud (Halima), gli attori sono tutti rifugiati siriani. “I siriani sono stati costretti ad abbandonare le loro case e il loro Paese cercando rifugio in Europa”, ha dichiarato il regista. “Tutti provengono da posti e situazioni che non conosciamo, manchiamo di quelle immagini. La rivolta del popolo siriano è iniziata sei anni fa, la guerra infuria da cinque anni, mentre il resto del mondo non ha fatto nulla per fermarla.”

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