Probabilmente, nella carriera discografica degli Editors, l'unica certezza è che non esiste alcuna certezza: quando sembrano orientati verso una sonorità ben definita, eccoli cambiare nuovamente rotta, sia pur cercando di mantenere una certa coerenza e integrità artistica. Nei loro dieci anni di carriera, il gruppo britannico ha attinto a piene mani dal repertorio musicale delle ultime tre decadi, creandosi scomodi paragoni e accumulando un sempre più variegato numero di fan. Questa volta, però, con In Dream la musica sembra cambiata. Gli Editors hanno iniziato a citare se stessi.
Nei primi due album – The Black Room (2005) e An End Has a Start (2007) – la voce baritonale di Tom Smith e le geometrie sonore della band, indirizzate verso la new wave in chiave post-punk, avevano subito chiamato in causa i Joy Division, rendendoli la versione britannica dei più blasonati Interpol. Con In This Light and on This Evening (2009), invece, erano entrati nel campo del synth-pop con chiari riferimenti ai Depeche Mode. Dopo questo album, la band ha dovuto affrontare l’uscita di scena del chitarrista Chris Urbanowicz con The Weight of Love (2013), paradossalmente un album in cui la chitarra elettrica è la protagonista assoluta e che farà guadagnare al gruppo un ampissimo consenso da parte del pubblico.
In quest'ultimo lavoro, invece, gli Editors compiono una perfetta fusione dei loro lavori migliori, accantonando quasi del tutto gli slanci chitarristici del disco precedente in modo da far fraseggiare la new wave dei primi due album con l'elettronica del terzo. Una sintesi che restituisce la cupezza che ha dato vita al progetto, attenuata dal synth e dai falsetti del leader del gruppo. Il brano chiave di questa nuova evoluzione è collocato proprio in apertura di disco: No Harm. La voce baritonale di Smith viene avvolta in un gelido synth minuziosamente minimalista, culminato con un falsetto, una sorta di urlo che spegne un incubo. Il grigiore lascia aperto un barlume di speranza.
Si prosegue con Ocean of Night, con il piano a dettare il ritmo incalzante, mentre la seconda voce della cantante degli Slowdive, Rachel Goswell (presente anche in The Law), completa quella di Tom Smith e trova intensi fraseggi. Il viaggio nelle tinte grigio-chiare continua con Forgiveness, brano che mescola sapientemente il rock all’elettronica; e Salvation con gli archi che aprono, chiudono e intervengono sporadicamente in un pezzo sempre in continuo crescendo ritmico. La versatilità vocale del leader è sempre messa alla prova, come testimonia Our Love, cantata quasi totalmente in falsetto, per un brano che forse più di altri può essere ricollocato negli esperimenti del terzo album, raggiungendo però vette mai viste prima.
In definitiva, gli Editors riescono finalmente a creare una miscela che gli consente di suonare come…gli Editors, scrollandosi di dosso tutti i paragoni che hanno accompagnato la propria carriera. Non è ancora il disco perfetto, ma con la direzione intrapresa, arriverà presto.