Im Keller – Ulrich Seidl
Ulrich Seidl, un po' come Bresson e Haneke, ha un occhio freddo capace di una sintesi perfettamente spietata: gli basta un istante di una piccola scossa per descrivere il terremoto più devastante, un sospiro accennato per trasmettere il grido del disagio più radicato e lancinante.
Distanziandosi da qualsiasi forma di pathos, il regista austriaco riesce a racchiudere la storia di una psicologia o una situazione nella morsa di una semplice inquadratura, mirabile caratteristica confermata in questa sua ultima opera Im Keller - In the basement, presentata fuori concorso alla Settantunesima Mostra del Cinema di Venezia.
Il titolo del film (In cantina) indica il luogo centrale in cui si svolge l'azione: infatti, con un impianto di docufiction dalla natura alquanto ambigua (ovvero: dove finisce il documentario e in quali punti è possibile trovare della finzione?) Seidl ci fa vedere cosa accade quotidianamente nelle cantine di persone qualunque della provincia austriaca.
Abbiamo, ad esempio, un appartato sadico che ama osservare la crudeltà istintiva del suo boa chiuso in una teca; un'anonima signora dall'aspetto tragicamente dimesso che si anima non appena abbraccia un bambolotto, parlandogli come fosse suo figlio; un cacciatore inebetito, orgoglioso di aver mangiato quasi tutte le prede che ha ucciso; un pistolero schizzato che avrebbe voluto fare il cantante d'opera; un rapporto estremo di schiavo e padrone in una coppia matura; una masochista femminista; un musicista con un'ingombrante passione nazi che si esprime anche nell'arredamento.
Lo sguardo distaccato di Seidl riesce quasi paradossalmente a far emergere l'anima implicitamente disperata dei personaggi, a mostrare come e quanto il grottesco più pericoloso possa essere ben installato all’interno della quotidiana normalità. La stranezza di questa porzione di umanità osservata dalla sua macchina da presa non è affatto anticonformista, liberatoria, suggestivamente diversa, anzi: è il (sotto)prodotto di una società che cerca di ammalare le sue pedine umane con regole castranti e sottili, con i suoi stereotipi, con le sue repressioni occulte e striscianti.
La ricorrente scelta di riprese fisse e frontali, difatti, oltre a generare un senso di tensione, esprime efficacemente l'annichilimento e l'immobilità dei personaggi, il loro essere prigionieri di se stessi e delle proprie estreme inclinazioni.
Im Keller è dunque indubbiamente un film in ottima forma, così tanto da riuscire a creare in noi spettatori un fastidio al quale non si sa bene come reagire. Del resto, scoprire che non poca gente è fin troppo ordinaria per non nascondere inquietanti bizzarrie può essere un’esperienza rischiosa.