Un volto tumefatto, invisibile, nascosto sotto bende insanguinate. È una personalità cancellata, strappata, perduta quella di Nelly (Nina Hoss) che, sopravvissuta ad Auschwitz, torna a Berlino per ricongiungersi al marito Johnny (Ronald Zehrfeld), ex pianista ora cameriere nell’unico locale notturno che ha resistito ai bombardamenti: il Phoenix. È qui che, dopo intuibili interventi chirurgici di ricostruzione facciale oseremmo dire miracolosi per l’epoca che le hanno ridato un viso, la giovane donna, ereditiera di un capitale in Svizzera, rincontra l’amato che, però, non la riconosce.
Pochi minuti di girato e Il segreto del suo volto, scritto e diretto dal tedesco Christian Petzold, tra i più attesi della sezione Gala, mostra già alcuni assaggi di quelle che potrebbero svilupparsi in interessanti riflessioni sull’importanza dell’identità e sul vuoto incolmabile prodotto dalla sua perdita, sulla devastante desolazione psicologica causata dalla condanna all’anonimia, sull’umiliante impotenza racchiusa in uno sguardo che non ritrova la propria anima nel riflesso dello specchio, sull’angosciante senso di vulnerabilità per non avere più un passato e un presente. Questi sono i presupposti che non solo incuriosiscono ma già appassionano e coinvolgono lo spettatore. Buoni propositi sostenuti da una recitazione misurata, sobria, che lascia trasparire una spontanea intesa tra gli interpreti; una fotografia fonte di vellutati contrasti cromatici; una cura dettagliata di costumi e scenografie, che riproducono fedelmente le macerie della guerra; una regia attenta che fa della macchina da presa uno strumento d’indagine delle sofferenze umane inferte e subite.
Ma questi sono anche i tasselli che costruiscono ben presto un senso di rammarico perché superficialmente trattati e troppo presto sacrificati in nome della progressione di una storia che, tra ridondanti malintesi e forzate cecità, eccessiva attenzione all’intreccio e approssimative descrizioni dei personaggi, poco per volta si perde in se stessa. Si annulla nello statico rapporto tra una moglie vittima dell’uomo e dell’umanità, che tuttavia continua a perseverare di ingenuo buonismo nei confronti del consorte, ignorando i consigli dell’androgina e saffica amica Lene (Nina Kunzendorf), e un impostore che è capace di progettare (nei minimi dettagli) uno strategico piano di scambio di persona, ma, inverosimilmente, non riesce a riconoscere la propria compagna di vita.
Dunque, alla fine di questa implosione diegetica, ecco cosa resta del film: la delusione per aver abbandonato sul nascere un’ottima occasione di raccontare la Storia da un punto di vista nuovo, diverso, non convenzionale (e per questo ci vuole coraggio). Raccontarla con uno sguardo insolito forse, ma sicuramente dotato di un’intimità rara e preziosa.