Il filo nascosto
Gioco di sguardi nelle pieghe del sentimento amoroso
“Reynolds ha reso i miei sogni realtà, in cambio gli ho dato ciò che più desidera. Ogni parte di me”. L’incipit de Il filo nascosto (Phantom Thread, Paul Thomas Anderson) sembra ricollegarsi ad una dimensione archetipica del melodramma, la protagonista femminile pronta a sacrificarsi per amore. Più che un genere, il melodramma può considerarsi una modalità, un’immaginazione, un’inclinazione, che rifacendosi ai termini classi aristotelici, mostra personaggi come vittime che subiscono gli eventi, provando dolore e sofferenza. Il melodramma americano degli anni ‘50 ha, tuttavia, attuato una profonda riflessione sui conflitti etici e morali, sui cambiamenti sociali ed economici, contrapponendo una narrazione quasi stereotipata che prevedeva, spesso, il ricongiungimento e la ricostituzione della coppia eterosessuale, un’eteronormatività addomesticata, con un’estetica dell’eccesso e una messa in scena in forte discontinuità con i valori familiari e patriarcali impliciti del racconto.
Secondo amore (All That Heaven Allows, 1955)
Rompendo le maglie della struttura codificata del melodramma, dal momento che alcuni aspetti affrontati, come l’identità sessuale, potevano essere più espliciti all’interno della narrazione, il cinema contemporaneo ha attuato un processo di ri-formulazione attenendosi comunque al sistema di riferimenti e all’articolazione stilistica del melodramma americano classico. Da Rainer Werner Fassbinder prima a Todd Haynes, François Ozon, Pedro lmodovar, Terence Davies poi, molti autori del nuovo cinema queer sono profondamente legati all’imaginario classico di Douglas Sirk ad esempio.
Lontano dal paradiso (Far from Heaven, 2002)
Ambientato proprio negli anni Cinquanta Il filo nascosto, invece di focalizzarsi sulla costruzione dei caratteri identitari, sessuali, sui conflitti etico-morali in una società in profondo cambiamento seppur legata ancora alla tradizione cattolica e alle realtà istituzionali, riflette sul processo di identificazione, sulla natura dello sguardo, dei personaggi così come dello spettatore. “Se vuoi fare una gara di sguardi con me, perderesti”. Per Reynolds Woodcock (Daniel Day-Lewis), tra i più celebri e apprezzati stilisti inglesi del tempo, a capo di una maison d’haute couture, la donna rappresenta una fonte d’ispirazione da cambiare quando la spinta creativa svanisce. Per natura Reynolds, come sottolinea quasi subito, non può scegliere una donna con cui rimanere legato per sempre, non riesce a costruire relazioni sentimentali e rapporti duraturi, “Il matrimonio mi renderebbe disonesto”. L’incontro fortuito con Alma (Vicky Krieps), una giovane e goffa cameriera, sembra poter cambiare le sue aspettative. La donna anche in questo caso non sembra essere vista come oggetto del desiderio sessuale, carnale, e coniugale del protagonista, ma la manifestazione di un amore ideale, puro, concettuale, totalizzante. Non amore per la donna quanto, invece, per il proprio lavoro.
Nonostante possa risultare comprensibile il riferimento a La donna che visse due volte (Vertigo, 1958) in cui James Stewart cerca di creare in Judy Barton una nuova Madeleine Elster, ne Il filo nascosto manca la pulsione sessuale così come l’aspetto del trauma e della repressione presente nel film di Hitchcock. Reynolds non è alla ricerca della donna ideale quanto nel pieno del processo (artistico) di creazione. Alma non è solo una modella ma materia prima, argilla da plasmare e modellare, marmo da scolpire a piacimento, “Non hai seno/ Lo so, mi dispiace/ Sei perfetta”. Come un moderno Pigmalione, Reynolds, nelle linee, nelle geometrie, del corpo così come del tessuto, è alla ricerca della perfezione.
Tuttavia, nonostante Alma sia la sua musa, la sua fonte d’ispirazione, Reynolds la deride, la insulta e la relega ai margini. Come nel mito di Ovidio la statua prende vita, ma non è Reynolds/Pigmalione ad animarla, quanto Alma stessa che, rifiutando il ruolo a cui è stata confinata, decide di ribadire e sottolineare la propria presenza il proprio ruolo all’interno della maison, della coppia e dell’inquadratura “Sto cercando di amarlo nel modo in cui vorrei”. Il lieto fine (illusorio) del melodramma che prevede il ricongiungimento della coppia nel matrimonio, che segna spesso una contrapposizione piuttosto che una riconciliazione, lasciando irrisolti i contrasti e le cesure del rapporto, viene sovvertito. Una volta compresa la “natura del gioco” sarà Alma a prendere il controllo e attraverso i preparati (magici) a spezzare “il maleficio”, accettando la proposta di matrimonio solo nel momento in cui l’abito verrà messo fuori-campo dal movimento della macchina da presa.
A quel punto ritornano manifeste tutte le fragilità di Reynolds, tutte le sue insicurezze e la posizione di subalternità nei confronti della donna, esplicita anche prima nel lavoro, dal momento che l’economia della sua casa dipende dal sostentamento di ricche e capricciose aristocratiche che non hanno rispetto per le sue creazioni ma che seguono solo le mode del momento, e poi nella relazione sentimentale. Indifeso, bisognoso, ferito, figura che mostra una crisi della mascolinità a livello fisico e sessuale, Reynolds spoglio dell’habitus che lo contraddistingue decide di affidare il proprio corpo ad Alma, che mai metterebbe a rischio la vita dell’amato “Baciami prima che io inizi a star male”. Un ritorno al mito, Alma come Alma Mater, la madre nutrice riesce a prendere il posto della figura fantasmatica della madre di Reynolds, spodestando anche Cyril (Lesley Manville), dando sfogo e appagando l’amato nel suo impulso di autodistruzione, chiara conseguenza della sua esaltazione e del suo enorme ego. Dopo Il Petroliere (There Will Be Blood, 2007) e The Master (2012) Paul Thomas Anderson ritorna ad occuparsi di rapporti (auto)distruttivi di “coppie”, ma ne Il filo nascosto la figura patriarcale non riesce a dominare e a sopprime l’alterno, la figura femminile dissolve il sistema.
Priva di un cognome, di un passato, Alma assume il ruolo di un personaggio archetipico, che governa le leggi dell’amore, ma già prima quelle del racconto, lei guida lo spettatore all’interno del flashback, eros e Thanatos, desiderio di possesso e di sottomissione, ristabilendo la giusta distanza, affettiva non solo fisica, in un luogo abitato da fantasmi.