Fausto Paravidino porta al Teatro dell’Orologio Il diario di Maria Pia, spettacolo che aveva debuttato in Svezia, al bergmaniano Dramaten di Stoccolma, nel 2010, prima di arrivare in Italia prodotto dall’ormai defunto Teatro Regionale Alessandrino. Provincia alessandrina che è la terra d’origine dell’autore e lo scenario di uno spettacolo dallo scoperto sostrato autobiografico.
La storia di Maria Pia però, ebbe modo di dire all’epoca l’autore , non è da ricondurre a una sfera privata. Una donna, Maria Pia (Monica Samassa), medico, e suo figlio, uomo di teatro, visti affrontare insieme l’esperienza di una malattia mortale, del cancro che sta ormai vincendo la battaglia nel corpo della donna. Il lavoro di scrittura dello spettacolo è visto direttamente in scena. La madre perfettamente consapevole di quel che le sta accadendo, e insieme sconvolta dall’inattesa aponia mancanza di dolore che la vicinanza con la fine le impone, lascia al figlio, in un dettato ricco di immagini e di suggestioni e insieme povero di lacrime, di sofferenze già teatralizzate, il diario del suo lento andarsene. Al centro della scena la poltrona/letto, dispositivo intorno a cui ruotano le figure famigliari, i medici, le esperienze e i ricordi. Fausto Paravidino e Iris Fusetti infatti alternano sulla scena i personaggi, entrano ed escono dal primario ruolo di figlio e di lui compagna, lavorano per segni forti e stilizzati, con pochi oggetti di scena (un camice, un paio di occhiali, una parrucca) diventano il vecchio zio e la temuta dottoressa, figure che immediatamente appaiono astratte, trasfigurate e semplificate, come prodotte dalla memoria e dall’immaginazione.
Memoria e immaginazione, gli strumenti più potenti che l’uomo ha per interpretare il proprio vissuto, il sistema immunitario che ci protegge dal dolore e dalla perdita, lo schema entro cui circoscrivere, e dare significato, anche alla più lacerante delle esperienze. Così del teatro mentale che ogni uomo possiede il diario di Maria Pia è una sorta di traduzione scenica, l’esplicitazione di un’esperienza che tutti, purtroppo, conoscono o conosceranno. Ecco che le parole dell’autore, che si premura di allontanare il privato, l’autobiografia, dalle informazioni preliminari dello spettacolo assumono un significato ulteriore. Non vediamo in scena la storia degli ultimi giorni della madre di Fausto Paravidino, non solo e non principalmente, quanto piuttosto assistiamo alla teatralizzazione della memoria e del dolore, in cui teatro è inteso nel più precipuo suo senso etimologico di luogo, e arte, della visione e della revisione, dell’interpretazione a posteriori, della vita messa in forma, dotata di limiti e schemi, protezioni di fronte alla vertigine del nulla.
Teatro dell’Orologio – 13 gennaio 2015
In apertura: Foto ©Manuela Giusto