I nuovi mostri – Etruschi from Lakota
L’ennesimo successo della label pisana, Phonarchia Dischi, è ancora un gruppo talentuoso, che pur non piegandosi alle convenzioni artistiche del momento, sa mantenere un’identità ben definita, ma non scadente: sono gli Etruschi from Lakota, i fratelli minori di quei Venus in Furs, vincitori dell’edizione 2009 di Arezzo Wave Band Toscana.
Oggi a mandare avanti la tradizione e a gareggiare per il titolo nazionale sono proprio loro, questi cinque ventenni con la passione per il folk e il rock’n’blues. Dopo l’uscita di un primo ep, Davanti al Muro nel marzo 2012, il 21 gennaio scorso viene presentato il loro album d’esordio, I Nuovi Mostri, prodotto da Nicola Baronti e registrato al White Rabbit Hole Studio.
Le undici tracce contenute in questo disco hanno il pregio di raccontare la vita della provincia italiana, un acquerello fresco che lega ieri, l’oggi e il domani, percorrendo le tappe dello sviluppo industriale e agricolo del Belpaese come in un romanzo realista dell’immediato dopoguerra. Si parte da Elenoir, ballata da saloon, che già ci dà un’idea precisa dello stile etrusco, una miscela di suoni che vanno dal country al blues, anche se rimangono fortemente ancorati all’idioma vernacolare e alla scena rock degli anni ’70. Se in questa canzone le donne vanno e vengono e le delusioni d’amore rimangono, in Guerra tra poveri lo scenario cambia, si respira un’atmosfera dai tratti apocalittici e inzuppati, un tutto contro tutti dove a rimetterci è il pranzo di Natale, mentre in Insetti un matrimonio di paese diventa lo spunto migliore per fare del sarcasmo sferzante, così come in Il Politico Alternativo, che già dal titolo non ha bisogno di spiegazioni.
Molto orecchiabile è il loro manifesto e primo singolo estratto, P.M.P. (Panorama Musicale Povinciale), che racconta per mezzo di una base ritmica graffiata dal binomio lap steel-basso uno dei tanti concerti che si svolgono in provincia, intorno al quale ruotano personaggi topici e avvenimenti standardizzati. Cruda e senza peli sulla lingua è Una Storia operaia, un’analisi attenta della comunità post-industriale, in cui le difficoltà sociali vanno di pari passo con la malasanità: Nessuno sa quanto l’amianto faccia male urla Dario Canal, voce degli Etruschi from Lakota, in un misto tra risentimento e rabbia.
Di stesso stampo ed estremamente energica è I Nipoti di Pablo, scritta da Riccardo Stefani e secondo singolo scelto dalla raccolta, in cui le parole chiave sono padrone-prigioniero, salario-licenziato, cantiere-ciminiera, mentre Aulin e Nessuno si muove mettono in scena ancora una volta le debolezze di una vita difficile fatta di botte e di silenzi prolungati proprio come nei blues afroamericani.
Buona la cover di Vengo Anch’io, ma ancora meglio Re dei Giudei che prende in prestito degli estratti di Jesus Christ Superstar: un album che va gridato e che per essere apprezzato va letto come un’Antologia di Spoon River.