Harry Potter e la maledizione dell’erede – J. K. Rowling
Non è trascorso nemmeno un mese dall’uscita in Italia dell’ottavo capitolo della saga di Harry Potter, La maledizione dell’erede, ed è bastato un solo, scarno volume per mutare un fulgido esempio di fenomeno mondiale della letteratura per ragazzi (e non) in pretesto, palesemente commerciale, per fare della scadente subcultura pop.
J.K. Rowling questa volta ha, purtroppo, mancato completamente il bersaglio, proponendo ai suoi fedeli, per non dire devoti, lettori un volume che si distacca nettamente dalla qualità e dalla bellezza, sicuramente poetica, dei volumi precedenti: un testo che non è romanzo ma adattamento di una sceneggiatura teatrale, una forma ardua, difficile da proporre al lettore che, se in alcuni casi potrebbe diventare accattivante, in altri, come questo, distrugge tutto il fascino della narrazione e dello svolgimento della trama.
E, a proposito della trama, scritta dalla stessa Rowling in collaborazione con gli sceneggiatori, autori e registi britannici Jack Thorne e John Tiffany, presenta spunti encomiabili, nonché i tratti cardine della poetica dell’autrice, amicizia, buoni sentimenti, coraggio, voglia di rivalsa, riscatto, perdono, assoluzione, tuttavia non prende il volo, non riesce a mantenere la magia che il lettore si sarebbe aspettato (e avrebbe preteso, a giusta ragione).
La magia e la suggestione delle ambientazioni, le descrizioni dettagliate e succose che hanno caratterizzato e reso celebri i sette volumi precedenti sono completamente sopite, ma il delitto maggiore è stato compiuto, forse, nei confronti dei personaggi: Potter, Weasley, Granger divenuti loro malgrado mere comparse esasperate nella loro caratterizzazione più estrema, le nuove leve (Albus e Scorpius, rispettivamente figli di Harry Potter e Draco Malfoy) ridotti ad una raffigurazione semplicistica, capovolta, dei genitori, uno capriccioso e stucchevolmente ribelle, l’altro totalmente privo di fantasia (come, del resto, gli autori), i buoni troppo buoni, i cattivi troppo cattivi, tutto troppo semplice, scontato, insomma.
Manca lo smalto, specialmente considerando che, i veri appassionati del mondo di Hogwarts, conoscono a memoria ogni battuta, ogni caratteristica dei propri personaggi preferiti, riescono persino a penetrare nella psicologia di ciascuno di loro, e questo soltanto grazie al meticoloso lavoro da cesellatore della Rowling dei bei tempi che furono; lavoro che, questa volta, è venuto completamente meno anche nello stile narrativo, più spiccio e grossolano.
Nel complesso, qualche barlume di positività in un mare di stereotipi, colpevole di aver spezzato una magia lunga quasi vent’anni e i sogni di milioni di lettori in tutto il mondo.