Hakanaï – Adrien M & Claire B
Pochi giorni fa è scomparso Masaru Emotu: mai sentito parlare? Era un ricercatore giapponese che per tutta la vita ha cercato di dimostrare che l’acqua possiede una memoria e che pertanto ogni volta che l’uomo emette una frequenza, cioè agisce, essa la registra. Vero o no che sia, per molti anni i suoi cristalli hanno affascinato milioni di persone che di fronte a quei pensieri fermati nel ghiaccio si sono resi conto di come l’azione di un singolo possa avere effetti inimmaginabili.
Hakanaï è questo: una piccola pietra preziosa in grado di sprigionare rifrazioni segrete e profonde in chi la osserva.
Una stanza, quadrata, senza copertura; ai lati—pareti di stoffa, semitrasparenti, un proiettore sopra ognuna; fuori e tutto attorno, invaso dalla luce e dallo stupore, il pubblico. Mettendo piede all’interno della sala, già si intuisce che qualcosa di speciale sta per accadere: bambini, ragazzi, signore, coppie di ogni età, stranieri, tutti prendono posto e si preparano, come in attesa di una rivelazione, mentre un alfabeto fluttuante di numeri e lettere li sfiora nella penombra.
Hakanaï è un viaggio interiore, un’odissea alla scoperta del sé: una danzatrice è al centro della stanza così come l’uomo è al centro della vita e di ciò che egli chiama mondo, il «dentro fuori da sé». Ed è proprio da questa eterna e congenita confusione fra vita – la propria – e mondo – l’altro – che si articola l’esplorazione di Adrien M e Claire B. Akiro Kajihara entra nella camera delle proiezioni tridimensionali e si confronta con uno spazio in continua metamorfosi, che tuttavia è riflesso geometrico e amplificato di una precarietà interiore: crollata la quotidianità di segni astratti (i numeri e le lettere), la liberazione lascia precipitare in una nuova rete—l’assenza di limiti; così, quando infine l’individuo riesce a trascendere la sua paura dello spazio, quelle maglie di luce cominciano a farsi morbide e leggere assecondando la creatività dello spirito. Questo solo il primo di numerosi viaggi tra micro e macrocosmo.
È innegabile che il fascino delle scenografie virtuali catturi l’attenzione anche degli spettatori più svogliati e disinteressati, ma a rendere lo spettacolo notevole non è l’aspetto formale bensì la sua suggestività estetica, vale a dire la maniera in cui la splendida combinazione di proiezioni e danza riesce a trasmettere “consapevolezze” senza la mediazione del pensiero.
Hakanaï infatti possiede un’anima tipicamente orientale: fugace, effimero, fragile, per l’appunto (questo il significato della parola giapponese), un’umiltà che non vuol dire castigazione di fronte a dio ma percezione di sé nel tutto, coesistenza armonica in cui nessuno è necessario più di nessun altro, dove anzi tutti convivono e tutti si influenzano. Ecco allora che l’uomo qui non piega il mondo a proprio piacimento, non esercita il suo potere virile su di esso, ma dialoga con lo spazio, si com-muove e solo così facendo lo trasforma, trasformando sé, perché egli stesso ne è parte: egli è la percezione del mondo.
Impareremo mai questa lezione o ci fermeremo ancora una volta al “meraviglioso e originale” spettacolo?
La Pelanda, Roma – 25 ottobre 2014
In apertura: Foto di scena ©Romain Etienne