Groppi d’amore nella scuraglia – Marco Caldiron & Tiziano Scarpa
Alcune sale della periferia capitolina sono come piccoli gioielli incastonati in una realtà altra: traggono la loro forza proprio dal fatto di essere al di fuori dei circuiti tradizionali e di rivolgersi a pochi. Il Teatro Kopò è così piccolo che gli spettatori, per forza di cose, sono più vicini, quasi venissero invitati a parlarsi e conoscersi; un luogo intimo, dunque, che accoglie e infonde calore. Questi giorni, sulle assi del palco tuscolano, è in scena Groppi D’amore nella Scuraglia, testo in versi di Tiziano Scarpa.
Lo spettacolo narra la storia d’amore di Scatorchio e Sirocchia. Una favola dai toni grotteschi e surreali narrata in un grammelot completamente inventato: una lingua dal sapore centro-meridionale, fatta di suoni arcaici ma comprensibili, che spinge a riflettere sull’universalità del linguaggio teatrale e non solo. Ascoltandola, infatti, tornano alla mente le due categorie di de Saussure, per cui a un significante arbitrario fa fronte un significato universale; e allo stesso modo difatti reagisce il pubblico, il quale, pur non potendo capire le parole, ne intuisce la voce più profonda, ridendo e seguendo con interesse le vicende di Scatorchio.
Questi vuole fare un dispetto a Cicerchio, suo rivale in amore, e decide pertanto di aiutare lo sindoco della sua città a costruire un mega inceneritore, peccato, però, che così facendo, tutta la popolazione fugge via; ecco allora che, ritrovatosi da solo in un paesaggio desolato, post-apocalittico e soprattutto puzzolente, egli decide di intraprendere un viaggio spirituale, come nella migliore tradizione letteraria medioevale. Un percorso che lo porterà infine alla redenzione e forse a un nuovo amore.
La regia di Marco Caldiron prevede una scena completamente spoglia, scelta che va dritta all’essenziale e lascia le redini al grande talento istrionico di Silvio Barbiero (Premio miglior attore Fringe Festival 2014) che, un po’ soggetto di Bosch, un po’ artista di strada, domina con carisma e precisione le sfumature linguistiche di Scarpa, e da solo dà voce e corpo a un intero mondo di personaggi allo sfacelo, aiutato anche dalle musiche di Sergio Marchesini e Debora Petrina che regalano momenti di intima poesia.
Scatorchio si ritrova così in un mondo sommerso da una cattedrale di immondizia, una nuova waste land da cui bisogna partire per ricominciare daccapo. Una cattedrale che ricorda la stessa immondizia da cui è sommersa la Winnie di Giorni Felici di Beckett, ma anche quella presente nel teatro di denuncia di Ulderico Pesce (si pensi allo spettacolo Asso di monnezza: i traffici illeciti di rifiuti in cui il balcone di Marietta si affaccia direttamente su una discarica di monnezza).
Scarpa, dunque, con leggerezza e ironia, ci porta dritti al cuore della realtà italiana, scolpendo al contempo – un po’ come nella Commedia dell’Arte – maschere universali in cui noi tutti possiamo riconoscerci; perché, come egli stesso afferma, in ogni uomo si nasconde un po’ di Scatorchio, anche se solo pochi se ne accorgono.
Teatro Kopó, Roma – 12 dicembre 2014
In apertura: Foto di ©Chiara Ogniben