L’importanza di essere letterali: ‘Giorni felici’ di Renzi
In Giorni felici di Samuel Beckett, Winnie è sepolta fino alla vita da un monticello di terra. Lo spazio è il solito post-atomico, il tempo è dilatato e senza cognizione, come succede a chi è costretto a rimanere immobile per lungo tempo. Non a caso, Jan Kott nel suo Diario teatrale tracciava un parallelismo fra la condizione di Winnie e quella dei paralitici costretti in ospedale. E in effetti, concentrandoci solo sulle parole di Winnie, si potrebbe facilmente immaginare il monologo di una paziente in un letto di corsia, di una folle in un sanatorio, o più semplicemente di una signora inglese con una tazza di Earl Grey in mano. Chi è Winnie? Sicuramente niente di tutto questo perché la sua forza risiede nella letteralità: in scena c’è solo una donna letteralmente paralizzata con il suo carico di metafore azzerate come il bianco azzera tutti i colori pur contenendoli , che inizia a parlare perché il tempo deve passare, perché una nuova giornata inizia.
All’aprirsi del sipario del teatro India, Nicoletta Braschi la Winnie di Andrea Renzi ha l’aria di un’eterna bambina fragile e ingenua, un po’ à la Marylin Monroe. Giro di perle e corpetto (scene e costumi Lino Fiorito), la sporta da un lato e il parasole dall’altro come prevedono le fitte e serrate istruzioni di Beckett che pilotano ogni sguardo e gesto Winnie inizia così ad affondare nella sua memoria come nell’insensatezza dei piccoli gesti quotidiani: capita allora che tiri fuori dalla sporta i suoi oggetti, che parli con il marito Willie (Andrea Renzi), oppure che sprofondi in un amalgama confuso di ricordi appartenenti a un altrove ormai irraggiungibile.
Fra il campanello della sveglia e quello del sonno ci sono tanti momenti di felicità da colmare anche se nulla accade; ma per chi è abituato a vivere ai margini tutto assume un’importanza straordinaria: che sia la parola di una persona cara, un suono improvviso o una formica che fa sperare ancora nella vita. E non è la stessa cosa per dirla con Kott per qualsiasi malato ormai da tempo in ospedale, per un detenuto, per una persona depressa immobilizzata nel proprio malessere? Eppure, in scena c’è solo la clamorosa letteralità di Winnie, che è ciò che dice: nessun sottotesto ironico, nessuna bugia, un giorno felice per lei è davvero un giorno felice. Ed ecco che le sue parole così semplici, proprio perché sradicate da qualsiasi contesto più naturalistico in cui suonerebbero banali o addirittura false, sul palco acquistano una verità ulteriore che amplifica il nonsenso di una vita passata ad aspettare un cambiamento.
Ed è proprio quest’aspetto che sembra mancare nella regia di Andrea Renzi, quello stacco abbastanza netto fra l’assurdità della situazione e l’ordinarietà delle parole in grado di generare un vero cortocircuito di contrasti. Tutto appare troppo naturale, fin troppo “interpretato” nella recitazione di Nicoletta Braschi, che se da un lato accentua il lato più tenero e spettacolare di Winnie con tocchi di gradevole ironia, dall’altro, gli ulteriori aspetti di un personaggio così complesso sembrano essere tralasciati da un’interpretazione un po’ monocorde e non particolarmente coinvolgente.
Quella di Andrea Renzi è una regia molto studiata e meticolosa nel restituire il testo di Beckett senza esercitare troppe manipolazioni. E certo è vero che Beckett non lascia granché spazio all’autonomia registica, ma a volte è proprio nella costrizione che c’è più bisogno di trovare qualche forma di libertà, altrimenti il rischio è quello di rappresentare un capolavoro senza però permettersi di rischiare fino in fondo.
Per saperne di più del teatro di Samuel Beckett sulla scena contemporanea:
• Il tempo sublimato deL’amara sorte di Claudio Morganti, di Giulio Sonno
• May B, a passi dolci e lenti nel cerchio interminabile di Beckett – Maguy Marin , di Giulio Sonno
• Dipartita finale, o il tabù della vecchiaia: Branciaroli all’inseguimento di Beckett , di Sarah Curati
• Al Quadraro l’umanità in rovine di Beckett: Didi, Gogo e Godot di Markus Herlyn, di Sarah Curati
• La trilogia dell’Attesa – Fabiana Iacozzilli|La Fabbrica, di Giulio Sonno
Ascolto consigliato
Teatro India, Roma – 31 marzo 2016