Gianni Berengo Gardin a Milano
Molte volte quando ci si avvicina alle selezioni, si ha la sensazione che il curatore abbia scelto le opere in base alla disponibilità, più che alla loro qualità. Nel caso della mostra dedicata alla carriera di Gianni Berengo Gardin la sensazione è opposta. Sembra infatti di essere di fronte a molti dei migliori scatti, dai più ai meno noti, dello straordinario fotografo nato a Santa Margherita Ligure, vissuto a Roma, Venezia, Lugano e Parigi, e adottato definitivamente da Milano, città nella quale ha sviluppato gran parte della sua carriera fotografica, e che proprio quest’anno gli ha assegnato l'Ambrogino d’Oro.
180 scatti (riprodotti purtroppo in dimensioni troppo piccole), suddivisi in sezioni che sono come dei capitoli di storia, o di poesia, o di emozioni sottratte al tempo. Viviamo prima Milano, tra la gente, le strade di un tempo, e quelle più recenti. Viaggiamo poi verso Venezia, non quella turistica, ma quella che non ti aspetti, immortalata con sensibilità e impareggiabile talento. Entriamo poi Dentro alle case, in una sezione dedicata agli incredibili mondi privati che raccontano storie di vita e di cultura territoriale. Nella sezione Baci scopriamo che la genuinità degli scatti rubati alla passione di chi si ama non ha nulla da invidiare al più famoso bacio parigino, emozionante ma artefatto, di Cartier-Bresson, e per un attimo, viene spontaneo mettere a confronto due stili professionali e artistici molto differenti.
In Morire di classe Berengo Gardin porta avanti una personale riflessione sui manicomi e sulla crudele condanna di chi non può avere un'alternativa. L'attenzione ai più deboli si esprime anche nel servizio dedicato ai gitani in Italia, nella sezione Romanì, che brilla di curiosità e amorevole compassione. Chiudono la mostra tre sezioni, una dedicata al Sacro, che illustra le contraddizioni del culto, tra fede, commercio e indifferenza, una al Lavoro, dove gli scatti a persone e mestieri riescono a farci immaginare le loro storie, e infine una di Reportage, con immagini regionali, tratte dai numerosi servizi commissionati a Berengo Gardin da diverse riviste dell'epoca, come Il Mondo, Epoca, L'Espresso o Touring Club Italiano.
180 scatti del secolo scorso ma anche molto recenti, capaci di raccontare il mondo che cambia. Un grande bisogno di ricordare, di testimoniare, di capire i percorsi dell'umanità e della storia, attraverso le domande che le fotografie ci propongono. Una fotografia che è testimone del tempo ma anche dell'umanità di un fotografo che così parla di sé:
Il mio lavoro non è assolutamente artistico e non ci tengo a passare per un artista. L'impegno stesso del fotografo non dovrebbe essere artistico, ma sociale e civile.
Un esempio di umiltà, spesso estraneo a chi ottiene il successo, che rende il suo lavoro ancora più prezioso e attuale, in un periodo storico in cui regna sovrana l’adorazione di sé.