In campo artistico e culturale spesso ci si dimentica di chi sta nell'ombra, di chi compare nei credit, convinti che questi siano solo meri ringraziamenti. Quando invece non è così. Perché spesso, se non sempre, i capolavori non nascono dal genio di un’unica persona, ma sono il frutto di una serie di intuizioni geniali di un individuo modellate dalla bravura di altri. Genius, terzo lungometraggio di Michael Grandage, vuole riscattare una di queste figure, quella dell'editore. E, visto il risultato, direi che il regista britannico ha vinto, con qualche riserva, la sua sfida.
New York, 1929. Max Perkins (Colin Firth) è l’editore principale della casa editrice Scribner’s Son e ha già dato il proprio contributo alla scoperta di scrittori del calibro di Francis Scott Fitzgerald ed Ernest Hemingway. Un giorno gli viene messo sulla sua scrivania un romanzo di un migliaio di pagine intitolato O Lost. Incuriosito dalla mole, inizia subito il romanzo e più avanza con la lettura più si rende conto di avere trovato non solo un nuovo autore da pubblicare, ma un autentico genio. Tuttavia, il romanzo va sfoltito, va reso più fruibile e va rinominato per renderlo più appetibile. Decide così di incontrare l'autore, Thomas Wolfe (Jude Law), un uomo talentuoso, ma anche tremendamente insicuro, egocentrico e difficile da gestire. Nasce così uno splendido rapporto fra i due, rapporto che ben presto diventerà sempre di più morboso e viscerale, andando a intaccare la sfera privata di entrambi. Nonostante ciò, pubblicheranno due romanzi che si riveleranno un successo sia in termini di vendite sia di critica.
Se da un lato questo Genius è anticonvenzionale e dalla struttura ben solida, dall'altra si ha l'impressione che Grandage sia ancora acerbo nel dirigere una pellicola cinematografica in quanto troppo ancorato al suo universo di riferimento, il teatro, privando così il film di una sua identità. Recitazione esasperata, ironia mal dosata e spesso fuori luogo, attori purosangue lasciati senza controllo, in preda a crisi di nervi (da far impallidire persino il Woody Allen dei migliori anni): sono questi gli sbagli che fa il regista britannico, confinando lo spettatore in uno stato di limbo confuso.
Sarebbe bastato poco, una direzione ben più calibrata ed equilibrata, a rendere questo Genius un film impeccabile, anche perché la produzione e la confezione è davvero di ottima fattura. Inoltre, il ritmo è ben scandito, i tempi morti sono assenti e il rapporto autore-editore è raccontato con viscerale passione e inquadrato in modo egregio. Sarebbe bastato poco. Ma forse Grandage non ancora avuto la fortuna di trovare il suo Max Perkins.