Sembra di essere catapultati in una puntata di quelle serie TV sull’accumulo compulsivo, dove strani personaggi stipano le loro case di roba comunemente e volgarmente catalogata come insignificante, inutile e ingombrante. La scena, infatti, sgombra di quinte e sipario, accoglie sullo sfondo un collage di sedie, casse, scatole, mobili, e ferraglia è compreso anche un toro appeso direttamente al soffitto -, che crea nelle nostre menti, ancora intente a trovare il posto nella fila giusta, un inatteso impatto visivo, violento e caotico.
In questo terreno ampio e semibuio, osservato da un punto di vista basso, quasi rasoterra – più o meno quanto i piedi dei passanti proiettati sulla parete-potpourri -, tre performer (Corinna Anastasio, Francesca La Cava, Angela Valeria Russo) occupano il palcoscenico, trascinando un passo dopo l’altro come automi dagli sguardi fissi nel nulla. Uniche forme vitali di un luogo volutamente dimenticato, questi tre esseri dagli abiti colorati si risvegliano lentamente tra passi di yoga misti a tecniche di arti marziali, versi e parole di una lingua non meglio specificata, gesti delicati ma non troppo rispettosi del galateo, e soavi movimenti.
Inizia così una danza che trasforma il corpo in pura e maleducata materia d’istinto e reazione infantile, sensibile e smaliziata, che penetra spazi e sguardi mossa da forze esterne, musicali principalmente (dall’ipnotico ritmo tecno alla grazia delle note classiche). Una danza che svela un’indecifrabilità coinvolgente e seducente nei passi interrotti, nei salti euforici, nelle corse improvvise, e negli occhi, ora ammaliati ora ammiccanti, rivolti a noi in platea: a quell’insolita vetrina di immobili esseri viventi, allucinati da una dimensione priva di regole, di senso, di logicità. Qui, gli oggetti, relegati a essere monnezza, e gettati in terra come giocattoli rovesciati da un baule, perdono la loro iniziale funzione – le scarpe diventano cappelli o gioielli; gli elettrodomestici strumenti musicali -, si liberano dall’imposizione del ruolo, trovando in queste mani, complici e affettuose, una nuova espressività linguistica, estetica e funzionale.
Il Gruppo E-Motion, diretto e coreografato da La Cava, disegna un ritratto ruvido e poetico nel quale gli individui, animati o meno, sono abitanti di un mondo che tanto onirico e astratto, quanto reale e spietatamente concreto da riflettere quello che quotidianamente tocca il volto di un’umanità miope e ipocrita (oggi più che mai). Una (in)civiltà dedita a condannare all’invisibilità, alla marginalità e al disagio ciò che è diverso, e a confinarlo lontano dalla propria vista a-morale – perché ciò che non si vede, non esiste -: magari negli angoli più nascosti della strada, quelli poco conosciuti e poco frequentati. E poco importa se là l’identità di ognuno svanisce silenziosamente nel più semplice e comune termine scarto: in fondo, sono solo esseri (dis)umani.
Teatro Vascello, Roma 11 novembre 2014