Locandina spettacolo

L’ipocrisia tra curva e tribuna

Giustinelli tenta il ritratto dell'Ultràs in 'Fuckin' Idiot'

Tra i cori che riempiono la domenica allo stadio, ce n’è uno, piuttosto diffuso, che pospone il nome dell’idolo del momento alla locuzione “uno di noi”, spesso ripetuta più volte. A pensarci, non è un “ululato” da curva come gli altri, perché esprime senso di appartenenza, l’identità radicata di un gruppo di individui che vive il tifo come atto sociale estremo, come una missione che finisce per assorbire tutto, fino a far coincidere la vita con la morte.

Proiettate sul fondo scena del Teatro Studio Uno, le immagini del repertorio iconografico popolare  del calcio moderno accolgono lo spettatore: dai gol di Pelè, all’urlo di Tardelli, dalla faccia torva di Moggi a quelle confuse in storiche risse post-partita.

Finita la proiezione, ci ritroviamo in un interno domestico dove compare – con felpa, cappuccio e passamontagna d’ordinanza – “uno di loro”, un ultràs, un “Fuckin Idiot” come lo chiamerebbe James Pallotta – presidente dell’A.S. Roma – che usò questa espressione per stigmatizzare il caso degli striscioni apparsi allo stadio contro la madre di Ciro Esposito, tifoso napoletano morto un anno e mezzo fa negli scontri prima della finale di Coppa Italia.

Inizia così uno sfogo di rabbia, una seduta notturna di analisi in tre fasi, scandite da luci intermittenti e da una voce off:  una sorta di deposizione involontaria in un anomalo “processo del lunedì” che, come sempre accade, condannerà il tifoso, ignorando le ragioni delluomo.

Forse, però, l’esperimento di Federico Cianciaruso (interprete), Cristiano Di Nicola (scene) e Simone Giustinelli (regia) si ferma prima che si inneschino quegli interrogativi necessari a “costringerci” ad assumere la responsabilità di un’opinione critica personale: se l’intenzione era  approfittare del teatro per avvicinare l’ultràs, senza né giustificare né condannare, per renderlo “uno fra noi”, il risultato è – per inverso – quello di allontanare, di rendere più ostico lo sforzo di un confronto con una realtà che è già violenta quanto complessa e che, sì, sicuramente dovremmo prendere in considerazione anziché nasconderla tra i rifiuti, tra peccati di cui ci vergogniamo solo a giorni alterni. Le parole di rabbia e frustrazione che Cianciaruso pronuncia in scena, invece, si disperdono nello sfogo e si ricompongono in quella incomunicabilità che è una della cause endemiche delle tragedie legate alle tifoserie di calcio (drammaturgia Sonia Di Guida con Ultrà di Giuseppe Manfridi).

Chi sono davvero gli Ultràs? Forse fenomeni da copertina come Jenny ‘a carogna o magari soltanto ragazzi che ignorano di essere manovrabili come pedine del Subbuteo, strumenti di esasperazione al servizio di un potere sadico che se ne rimane a contare i milioni dietro i lacrimogeni, i manganelli e il sangue.

Quelli sugli Ultràs infatti sono interrogativi che, posti senza l’ipocrisia e la superficialità dei talk show (un’involuzione della chiacchiera da Bar dello Sport), ci aiuterebbero a chiarire in che misura la violenza che esplode cieca dalla curva alle strade sia alimentata da quello stesso potere che si illude di colpire.

Letture consigliate:
• Girotondo – Simone Giustinelli | Arthur Schnitzler, di Sarah Curati

Ascolto consigliato

Teatro Studio Uno, Roma – 12 dicembre 2015

Grazie


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