Dopo il positivo esordio di due anni fa con il film, ancora inedito in Italia, Aux yeux de tous, il giovane regista Cédric Jimenez mette a segno un altro colpo. French Connection, non appena uscito in Francia, ha immediatamente fatto pensare ad un ritorno e, quindi, ad una rinascita del polar, genere cinematografico squisitamente francese degli anni 40-’70 che prevedeva un rimescolamento ai limiti della fusione tra poliziesco e noir.
Il film narra, infatti, la storia vera del giudice Pierre Michel alle prese con il clan marsigliese del celebre padrino Gaëtan Zampa, dedito all'esportazione di droga dalla città francese al Nord America; storia questa che, peraltro, tocca da vicino lo stesso regista, nato e cresciuto a Marsiglia, dove il padre gestiva un locale vicino a quello del fratello di Zampa. Ed è proprio in questa Marsiglia degli anni Settanta – ricostruita scenograficamente prestando attenzione anche ai minimi dettagli – lungo le sue strade assolate e afose, che si instaura la lotta tra i due protagonisti, quella consueta lotta tra un profondo senso della giustizia e un’ancestrale dedizione al crimine e al potere malavitoso.
La collaudata coppia del cinema francese degli ultimi anni, il premio Oscar Jean Dujardin e Gilles Lellouche, si muove perfettamente e con equilibrio nella dinamica di tale antagonismo. Sfruttando fisicità e istintività recitativa, i due attori si spingono sino a rendere ampiamente percepibili quelle attitudini quasi ossessive e quelle speciali vocazioni che sembrano sorreggere chiunque decida di addentrarsi e vivere entro la rivalità e il contrasto tra istituzione e mondo criminale e viceversa.
Lo scopo del regista sembra, allora, quello di concedere allo spettatore la possibilità di imparare a conoscere e delineare la personalità dei due protagonisti. Sebbene la storia sia filtrata dal punto di vista del giudice, la centratura narrativa, infatti, si poggia sulla possibile coincidenza e, in fondo, paradossale vicinanza tra la vita dei due: di fronte alle difficoltà e agli esiti finali che li attendono, sono entrambi costretti a fare i conti con le conseguenze dell’egoismo delle loro scelte di vita e a toccare la durezza e l’inevitabile consapevolezza della solitudine.
Rispetto al celebre Il braccio violento della legge (The French Connection, appunto) di William Friedkin, datato 1971, Jimenez ha scelto, quindi, di rigiocare il terreno della rivalità tra milieu criminale e istituzionale, non tanto sull'intrigante filo dell'astuzia e abilità messe in atto da chi li rappresenta, quanto invece su una loro raffigurazione esistenziale, facilitandosi il compito tramite un uso spregiudicato ma indovinato dei motivi musicali.