“È morto con onore, Newt”, “No, Will. È solo morto”. Uno scambio di battute significativo che accompagna la nostra discesa negli inferi della Guerra di Secessione Americana; avviene tra Newton Knight, infermiere dell’esercito della Confederazione del sud e un suo commilitone, a seguito della morte di suo nipote al fronte. È questo il cruento scenario d’apertura di Free State of Jones, diretto da Gary Ross (sceneggiatore di Hunger Games) e che vede in Matthew McConaughey il suo intenso protagonista.
Newton Knight, dopo aver disertato, è perseguitato dalle forze militari. Lascia la propria famiglia e fugge in una palude “abitata” da fuggiaschi come lui, bianchi e neri. Col passare del tempo il manipolo di uomini si infoltisce e Newton diventa a poco a poco il loro leader grazie alla sua determinazione nel far valere il diritto di libertà individuale, combattendo contro la schiavitù dei neri e contro una guerra di cui non vuole far parte. Vincendo diverse battaglie, arriverà a costituire una vera e propria nazione (lo stato libero di Jones, nome della sua contea di provenienza) e a conquistare il diritto di voto per i neri, ma i militari e i proprietari terrieri non smetteranno di fargli la guerra, fisicamente e politicamente.
Ispirato ad eventi reali, il film getta una nuova luce su un periodo estremamente critico della storia americana con tanti elementi volti a contestualizzare la precarietà e il clima teso di quel tempo: la vita appesa a un filo per i soldati in guerra, la dura sopravvivenza per gli agricoltori soggetti alle razzie sistematiche (chiamate “tasse”) dell’esercito, lo stato di schiavitù e la totale denigrazione per i neri. Solo i proprietari terrieri, arricchiti dalle piantagioni di cotone, traggono benefici. La rivoluzione parte da un microcosmo anomalo e indipendente. L’anomalia sono i suoi componenti: uomini bianchi che convivono con neri, senza classi sociali o distinzioni razziali, genesi di una futura vera integrazione americana; l’indipendenza è il carattere libero della nazione di Jones: non dalla parte del Nord o del Sud, dei bianchi o dei neri, bensì dalla parte dell’uomo. Uno dei precetti fondamentali stilati dopo il riconoscimento ufficiale dello stato libero di Jones recita infatti: “ogni uomo è un uomo”.
Molto ben scritto e dettagliato nonostante la narrazione cronologicamente rapida, il film giustappone due dimensioni che apparentemente si respingono: da un lato viene rimarcata la dimensione spirituale, ossia l’onnipresenza di Dio in cui il popolo crede ciecamente; dall’altro, c’è una dimensione materiale che lo dimentica completamente quando fa valere l’essere umano, nel suo istinto di sopravvivenza e nella sua crudeltà, così come nelle sequenze quasi spielberghiane dell’orrore della guerra. Un paradosso che ben caratterizza la difficoltà del quel tempo.
Ne esce uno spaccato in cui la libertà presente nel titolo affiora a fatica da un mare di sangue e ingiustizie, mostrando la violenza che alcuni diritti, che oggi appaiono scontati, hanno dovuto sopportare per vedere la luce.