Franco Fontana: tinte accese e geometrie fluide
Franco Fontana. Full color a Palazzo Incontro a Roma
Dosare luce, colore e prospettiva, prevederne e assecondarne gli effetti e le commistioni, sono solo alcune delle sfide cui spesso sono chiamati a rispondere gli artisti. Questa capacità di lavorare con gli ingredienti basilari del linguaggio espressivo è ciò che permette alle fotografie di Franco Fontana di imporsi sorprendentemente allo sguardo. Al maestro emiliano, nato a Modena nel 1933, è dedicata la mostra Franco Fontana. Full color (a cura di Denis Curti), ospitata nelle sale di Palazzo Incontro a Roma.
“La macchina fotografica è come la penna stilografica per uno scrittore, solo uno strumento. Quello che conta è quello che sai scrivere”. Con queste parole Fontana sottolinea il lavoro del fotografo, una necessità di parlare per immagini, puntando l’obbiettivo sul reale (“in fotografia l’astratto non esiste”, afferma) per giungere poi a sciogliere i legami col visibile e soffermarsi su quelle porzioni di mondo che possono colpire l’immaginazione, oltre la loro concretezza e funzionalità apparente.
Per fare ciò Fontana decide già nei primi scatti degli anni ’60 di optare per il colore. Un binario che, se da un lato lo pone al di fuori delle contemporanee scelte di molti colleghi, gli consente però di costruire un vocabolario visivo inconfondibile.
L’ampia retrospettiva (130 fotografie) si apre con la potenza espressiva e il sublime incrocio di geometrie apparenti dei suoi Paesaggi. Che si tratti delle coste (Baia delle Zagare, 1970) e dei campi coltivati del sud Italia o di quelli delle pianure statunitensi (Texas, 1979), le tinte squillanti restituiscono la mutevolezza della natura in una giustapposizione di porzioni fluide, appiattite dallo scatto in un dialogo di geometrie mobili.
Ma lo stesso interesse formale si ritrova negli scatti urbani delle metropoli americane, porzioni di città in cui i corpi dei passanti sono piccole comparse che abitano uno spazio più ampio, oppure entrano in scena solo per mezzo di lunghe ombre, secondo una ricercata ambiguità (quella “presenza-assenza” che dà il titolo alla serie). Se con le Piscine è il corpo femminile o maschile a interagire con la luce, deformandosi immerso nell’acqua, la città ritorna invece negli Asfalti, ciclo di immagini (iniziato alla metà degli anni ’90) in cui la macchina ruota ora verso il basso a catturare le forme guizzanti o geometriche, a loro insaputa attraenti, della segnaletica stradale (Londra, 1998).
Su tutto ciò, come detto, si impone una pulsione cromatica avvolgente, elemento unificante e vero filtro insieme espressivo ed emotivo con cui Franco Fontana, con spiccata sensibilità pittorica, si rivolge allo spazio esterno riscoprendone quel fascino sepolto che si innesca qui per mezzo di imprevedibili accostamenti.