Franco Battiato, gli Arcimboldi e l’indie italiano
Chi avuto la fortuna di assistere alle date milanesi del suo tour teatrale, di scena agli Arcimboldi il 14 e il 15 marzo, ha partecipato ad un’esperienza trasversale che mescola influenze e stili diversi, atmosfere e suoni da ogni parte del mondo, suggestioni da culture diverse, vicine e lontane. Ripercorrere i successi di Battiato concentrati in un paio d’ore è stato un utile esercizio per riflettere su questo personaggio e collocarlo nella storia recente, musicale ma non solo, di questa nostra povera patria, come direbbe lui. E dunque, esauritasi ormai l’eco delle puntuali recensioni a questi concerti, noi di Paper Street proviamo ad offrire una lettura alternativa di queste due date e dell’artista Battiato, da ieri a oggi.
Battiato non ha imitazioni, abbiamo detto. Uno dei motivi principali di questo fatto è che Battiato è un Duchamp in note. I suoi testi introspettivi, talvolta mistici ed incomprensibili sono una forma di surrealismo musicale difficilissima da riprodurre senza scadere nel banale, nel ridicolo o nel contraffatto. Cambiando il soggetto e l’interpretazione, forse gli unici ad avvicinarsi a questo stile ma puntando, esplicitamente, sulla versione divertente-demenziale di surrealismo musicale, sono Elio e Le Storie Tese.
Il mistico, per Battiato, è in questo senso una chiave di lettura importante. Per dire, da qualche settimana cura un blog sul sito de Il Fatto Quotidiano dedicato ai pensatori mistici, principalmente orientali. Questo elemento si innesta su di un repertorio praticamente sconfinato, che si offre più volte alla riflessione sociale talvolta per metafore, talvolta in maniera diretta (la già citata Povera Patria, più recentemente Inneres Auge).
L’altro elemento è la poliedricità dell’artista, che può permettersi di interpretare Brel o Sergio Endrigo, De Andrè o un testo del poeta e paroliere Manlio Sgalambro con cui ha in piedi una lunga e proficua collaborazione, e allo stesso tempo con immutata credibilità riappropriarsi delle proprie canzoni ed eseguirle nel modo pop, danzereccio e contemporaneo in cui i Subsonica (Up Patriots To Arms) e persino Prezioso (sì, proprio lui, il dj, vi siete già dimenticati di chi è Voglio Vederti Danzare?) hanno riletto i suoi classici.
La prima sera degli Arcimboldi è emblematica: il concerto, iniziato in maniera tradizionalmente teatrale con atmosfera onirica, quartetto d’archi e pianoforte quasi fosse musica classica, ha vissuto un crescendo che ha portato la platea del teatro a piazzarsi sotto il palco e saltare, parlando direttamente con lui e chiedendo di interpretare alcune canzoni manco fosse un concerto in piazza, climax ascendente conclusasi con i balli collettivi di Centro Di Gravità Permanente e Cuccuruccu dopo ben due encore. Ma c’è di più.
Non sopporto i cori russi, la musica finto rock la new wave italiana il free jazz punk inglese
Da osservatore sociale non è difficile notare che, sebbene Franco Battiato abbia 67 anni, al concerto si vedono praticamente tutte le generazioni. Ci sono il pensionato ed il cinquantenne, cresciuti con il Battiato degli esordi. Ma c’è anche il trentenne che in pubertà ascoltava dalla stanza del papà il suono di quel capolavoro assoluto de La Voce del Padrone; e, soprattutto, ci sono i ventenni, i giovani pre- o post-universitari, figli dell’indie dei giorni nostri, che amano Dente e Brunori e le canzoni piene di synth a bpm accelerati. Pioniere dell’elettronica applicata al pop (si parla di fine anni ’70 in Italia) è lui il vero fondatore dell’indie italiano, di quella musica contemporanea che lo butta giù in quanto produttrice incessante di immondizie musicali; la quale, però, usa sempre più il suo stile e persino quell’inglese che da anni, qua e là, lui inserisce nelle sue canzoni. Lui, Battiato, a cui alcuni artisti di oggi devono molto, forse moltissimo del loro successo; un caso su tutti, i Baustelle: ascoltare con attenzione, un esempio per tutti, Il Liberismo Ha I Giorni Contati.
Franco Battiato, 67 anni e una vitalità intellettuale policentrica oggi quasi introvabile, ha saputo leggere una società telecentrica e in decadenza a causa di eccessiva dipendenza mediatica; ha saputo criticarla e metterla a nudo, deriderla e allo stesso tempo parteciparne senza essere realmente parte del suo circo, ma denunciandone il potenziale anestetico, distorsivo, talvolta pericolosamente privo di valori. E dulcis in fundo, ha più o meno inconsapevolmente contribuito alla nascita di un genere che fu alternativo e che ormai, tra hipsterie e social media, è divenuto di massa.
Chissà cosa ne pensa, di tutto questo. Se un giorno lo incontrassi, glielo chiederei.
E non è colpa mia, se esistono spettacoli con fumi e raggi laser, se le pedane sono piene di scemi che si muovono.