Figli del decreto
Illegittimo e Fixeur di Adrian Sitaru
“Figli del Decreto”, in rumeno decretsel. Una parola per raccontare una generazione, quella dei bambini nati nella Romania di Caeausescu tra il 1966 e il 1990, dove il famigerato Decreto di Stato 770 impose, con scopi di incremento demografico, fortissime misure liberticide contro l’aborto. Innumerevoli e tutte ugualmente devastanti furono le ricadute di questa barbara volontà politica: moltissime donne, non più padrone della propria vita sessuale, furono costrette a praticare aborti clandestini, correndo il rischio di contrarre malattie e di andare incontro a drammatici incidenti. Psicologi e analisti si sono spinti oltre, fino ad individuare nei figli “non voluti” di quella generazione i tratti di una rabbia e di una violenza congenita, in qualche modo passata per osmosi dentro la psiche dei nascituri da un ambiente ostile e da un concepimento così sofferto. Ai “figli del decreto” gli storici hanno attribuito anche la principale spinta verso quella rivoluzione che nel 1989 avrebbe portato alla caduta del regime comunista. Su una pagina di storia tanto drammatica quanto cruciale per il destino del paese, il cinema rumeno è spesso tornato a riflettere. In alcune occasioni raggiungendo esiti artistici elevatissimi, come con il caso cinematografico di 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni di Cristian Mungiu, Palma d’Oro a Cannes nel 2007. Un “figlio del decreto”, se non altro per motivi strettamente anagrafici, è Adrian Sitaru, cineasta rumeno di Deva, classe 1971.
A Sitaru il Bergamo Film Meeting 2018 ha dedicato una retrospettiva integrale, ospitando il cineasta prima dell’uscita nelle sale italiane dei due suoi ultimi lungometraggi, Illegittimo (2016) e Fixeur (2016), distribuiti da Lab80. Tentare di individuare un filo conduttore dentro l’opera di un regista polimorfo come Sitaru, difficile da collocare anche all’interno del panorama del cinema rumeno contemporaneo, non è semplice. Se il suo primo lungometraggio, Pesca Sportiva (2008), si spingeva verso uno sperimentalismo formale estremo, con la scelta di filmare tutto il film esclusivamente in soggettiva, molto diversi sono i connotati stilistici di questi suoi due ultimi lungometraggi. Abbandonate le soluzioni più radicali e ad effetto nella messa in scena a favore di uno stile essenziale e quasi televisivo, lo sperimentalismo si è spostato su altri versanti. Illegittimo, catartica immersione nel cuore di tenebra del problema rumeno, quella generazione di madri, padri e figli “del regime”, è stato girato, per esempio, con un budget di soli 7000 euro, in un tempo record di 12 giorni e senza sceneggiatura. Agli interpreti è stato fornito un semplice canovaccio della trama, lasciando loro massima libertà con le battute ma limitando le riprese ad un solo ciak. Tutto questo ha conferito a Illegittimo un non comune sentore di immediatezza, da presa diretta di taglio quasi documentario. Se a ciò associamo tematiche forti come l’aborto e l’incesto, sviluppate da Sitaru con una spregiudicatezza vicina alla provocazione, si definisce, nel complesso, il profilo di un film sicuramente interessante. Girato con pochissimi mezzi ma dotato, fin dalla sequenza di apertura, di grande impatto emotivo e potenza dialettica.
Quello di Sitaru è quindi un cinema che pone domande e interrogativi profondi, che preferisce sollevare complesse questioni morali piuttosto che fornire risposte preconfezionate. In Fixeur l’attenzione si sposta su un altro delicatissimo versante, stavolta legato al mondo della comunicazione: lo sfruttamento per fini mediatici delle vittime di abusi sessuali. Il tema di una sessualità distorta torna ad emergere nel cinema del regista, sebbene questioni come le scelte giornalistiche sulla manipolazione delle persone e delle informazioni si possano estendere, stavolta, ben oltre i confini nazionali rumeni. Il soggetto del film è, non a caso, ispirato alle esperienze vissute in Francia da un assistente della fotografia del regista, per un certo periodo della sua vita mediatore di incontri per la stampa. Fino a che punto è lecito spingere il diritto di cronaca? L’esposizione mediatica di una giovanissima vittima di abusi sessuali in che misura può ritenersi davvero “giusta” o necessaria? Sono alcuni degli interrogativi con cui Sitaru satura il suo film, obbligandoci ad una serie di riflessioni scomode.
Fixeur riesce a farlo senza rinunciare, nell’economia complessiva di una messa in scena piana e lineare, a momenti in cui la autorialità del regista è rivendicata con forza. Come le due panoramiche a 360 gradi che ne marcano il centro e la fine. Due fondamentali momenti di raccordo tra lo sguardo del regista e dello spettatore, la cui responsabilità è gettata di peso al centro della complessità di una storia che, sembra ricordarci il regista, è sempre parte di una Storia più grande e ancora più complessa, con cui bisogna inevitabilmente, sempre fare i conti.