I rischi di un bozzolo intellettuale troppo stretto
A proposito di Crisalide XXIII, il festival forlivese di Masque Teatro
Avete notato che ultimamente nessuno ha più un ‘problema’ ma tutti hanno ‘problematiche’? Che si ha a che fare sempre con la sfera ‘emozionale’ e mai con quella ‘emotiva’? O che si sviluppano ‘progettualità’, si trattano ‘tematiche’, si coinvolgono ‘professionalità’, ma quanto a ‘progetti, temi, professionisti’ neanche l’ombra? È un’affettazione posticcia, questa, e raffazzonata che ha un solo scopo: to show off, come direbbero gli inglesi, cioè dare a vedere, fare mostra di sé, dimostrare quanto si è raffinati, senza rendersi conto che in realtà si rimastica un buffo pasticcio di burocratese, tecnicismi vari e calchi dall’inglese che nell’Ottocento gli scrittori realisti avrebbero messo in bocca a piccolo-borghesi e arrampicatori sociali per smascherarne, irridendola, la loro smania di fare bella figura.
Solo che se un tempo la divisione in classi sociali rigide in qualche modo giustificava questo scimmiottamento culturale, oggi che la società è decisamente più mobile non si capisce a chi mai la si debba dare a bere: tanto più che i primi ad atteggiarsi in maniera così provinciale sono proprio i membri della classe dirigente. È la cultura ai tempi della “democrazia”. Si pensava che con la fine delle ideologie finalmente sarebbe emerso un po’ di sano pragmatismo, e invece no, dal mondo delle idee siamo passati a quello delle apparenze: illusioni vive, vivissime, perché democrazia più consumismo più digitale hanno reso il miraggio concreto—tanto da crederlo vero. Ma come si fa a staccare la spina di questa matrix?
Ci dirigiamo a Forlì «perché passi un po’ di caos libero e ventoso». Questo il sottotesto della XXIII edizione del festival Crisalide, ideato e diretto da Lorenzo Bazzocchi, fondatore della storica compagnia Masque Teatro. La citazione – mutuata da D.H. Lawrence attraverso Deleuze e Guattari – suggerisce già un approccio diverso. Crisalide, in effetti, è una rassegna decisamente “altra”, non solo qui non si ha la minima traccia dell’effetto vetrina, ma la stessa dimensione spettacolare incontra un altro tipo di eco: ad alimentare il «caos» di cui sopra, infatti, vi sono incontri con artisti, interventi di filosofi, concerti, laboratori, mostre, in un’equa distribuzione di tempi e spettatori che fa di Crisalide una quattro giorni culturalmente eclettica.
Una pratica virtuosa, raccolta, seria, in pacata controtendenza, che tuttavia – per quel che abbiamo potuto notare nei primi due giorni – ci è parsa patire un certo involontario ermetismo. ‘Involontario’ perché Crisalide non fomenta elitarismi di sorta, però non si direbbe neanche che cerchi un contatto forte: è come se lasciasse lo slancio al singolo spettatore ma senza offrirgli un saldo sostegno. Certo, quello dell’accoglienza è il tallone d’Achille del novanta per cento dei festival, eppure da una realtà così contenuta ci si aspetterebbe forse una maggiore valorizzazione delle forze messe in campo; e parliamo di semplici piccole azioni come introdurre il festival, presentare a ciascun incontro l’artista o lo studioso coinvolti, distribuire nel foyer le copie delle interviste (realizzate da L. Donati di Altre Velocità con J. Imolesi) commissionate dal festival stesso, e così via. Prevale invece un’atmosfera dimessa, che non aiuta a veicolare una proposta sicuramente interessante ma non altrettanto immediata.
A livello concettuale – pensiamo, ad esempio, allo spettacolo di Masque, Marmo (per saperne di più rimandiamo alla recensione di Brighenti su PAC), o all’intervento del docente P. Godani, Deleuze e l’arte di rovesciare il platonismo – si sposa un approccio che sembra smarrirsi nella spirale di un’eccessiva teorizzazione. Manca una nuda esposizione, un‘effettiva accettazione del mondo senza giudizi morali, un contatto con la realtà cui si fa riferimento: Masque indugia in un canto di rovina affascinante ma cristallizzato in un’estetica di fine secolo (che spazia idealmente dall’informale di Dubuffet o Kiefer all’eloquenza metaforica di Lynch, Cronenberg o Barney); Godani in una vertigine storico-filosofica, che si prende parecchio tempo per non sviscerare altrettanto (riassumibile in un “invito alla de-idealizzazione”) e senza offrire un piano contestuale che vada oltre la terminologia speculativa.
Si può attingere a Blanchot, a Cioran o a Deleuze, come si può prendere a prestito un tecnicismo burocratico, una parola ricercata o una voce inglese, ma il punto è purché lo si renda attuale, «attuale» à la Deleuze, cioè purché lo si ‘agisca’—altrimenti si precipita nella trappola del virtuale inerte. Insomma, il rischio è quello di dire molto e di agire poco (come il cortocircuito dell’ “incontro-studio” di giovedì 28 in cui la teorica P. Di Matteo esibiva un italiano oltremodo forbito rendendo le domande – da tradurre alla danzatrice svizzera Y. Hugonnet, vera protagonista dell’incontro – più complesse del dovuto, per pubblico e interprete).
Intendiamoci, quella di Crisalide è una pratica sacrosanta, interessante, felicemente originale, e non esiste certo un modo giusto e uno sbagliato di coltivarla; però muovendosi attorno al teatro – cioè attorno a qualcosa di effimero che non può lasciare traccia tangibile al di fuori del “qui e ora” – ci sembra che sarebbe importante se Masque si soffermasse maggiormente sulla permanenza di tale azione. Pur riconoscendone il valore, infatti, crediamo che Crisalide abbia bisogno di rendere più omogenea la sua proposta, concentrandosi magari su un tema o su una modalità più connotati così da indagarli con maggiore efficacia (pensiamo ad esempio al festival di Teatro Akropolys); e soprattutto di affacciarsi con maggiore decisione oltre le porte del Teatro Guattari.
Perché il pericolo, per riprendere l’immagine che dà nome al festival, è quello di consumarsi in un’eterna saudade che pian piano consuma il bozzolo dall’interno senza farlo mai schiudere—e solo per il timore che a volare si potrebbe finire in una rete.
• Masque teatro e Myriam Gourfink al Festival Crisalide: tra il dire e il fare c’è di mezzo lo sfinire, di Matteo Brighenti(PAC)
• Teatro Akropolis e l’importanza del vuoto. VII edizione di Testimonianze ricerca azioni, di Giulio Sonno
Teatro Guattari, Forlì – 28 e 29 ottobre 2016
In copertina:
Jean Fautrier Dépouille, 1945 ©The Panza Collection, MoCA, Los Angeles
Crediti:
Ideazione e cura Masque teatro
Direzione artistica Lorenzo Bazzocchi
Organizzazione Eleonora Sedioli
Aiuto organizzazione Clio Casadei, Ilaria Stefani, Annarita Giberti,
Cinzia Monari, Gaia Ciani
Tecnica Andrea Basti, Stefano Cortesi, Tommaso Maltoni, Matteo Gatti
Ufficio stampa e promozione Michele Pascarella
Promozione estero Catia Gatelli
Immagine e scritta Crisalide Elodie Vallard
Interprete di conferenza Omar Barbieri
Traduttori Cristiano Schirano, Jessica Collins
Autista Matteo Sbaragli
Collaborazione logistica Area Sismica
Media partner Succo Acido
si ringrazia Associazione Universitaria Teatrale SSenzaLiMITi