40 anni dopo Bene e Branciarioli
Di Michele si confronta con Faust Marlowe Burlesque
Da un lato c’è lo studioso di Wittenberg che, pur essendo arrivato al massimo grado della sapienza, è un uomo smarrito di fronte al mistero del creato e della morte. Dall’altro c’è un diavolo immortale e tuttavia sofferente che ha conosciuto il Paradiso e porta con sé il ricordo doloroso della luce che ha perso. È uno scontro fra due tragicità titaniche opposte e complementari quello tra Faust e Mefistofele: tra un uomo che aspira al sovrannaturale e un diavolo che aspira a emozioni umane.
La riflessione sull’identità è solo uno dei nodi ravvisabili nel complesso Faust Marlowe Burlesque, testo scritto da Aldo Trionfo e Lorenzo Salveti nel 1976 per due attori d’eccezione: Carmelo Bene e Franco Branciaroli. Ora per la prima volta riportato in auge dai due giovani interpreti Massimo Di Michele – anche regista dello spettacolo – e Federica Rosellini al Teatro India (che ha ospitato per una settimana gli spettacoli previsti al Teatro dell’Orologio, ancora ‘sigillato’), in una nuova veste contemporanea che, molto umilmente, non pretende di competere con l’originale ma cerca piuttosto di innescare un dialogo alla lontana per poter proseguire in autonomia, rispolverandolo quindi in una messinscena brillante e accattivante, pur non proponendo particolari letture drammaturgiche.
Come il «burlesque» del titolo suggerisce, tutto si giocherà allora in un miscuglio curioso e disordinato di contaminazioni letterarie e generi nei toni di un grottesco e parodico varietà. In una scena spoglia, ad esclusione di cumuli di terra sul fondo, ecco che Mefistofele (Rosellini) è convocato da Faust (Di Michele), il quale per ventiquattro anni potrà accedere alla conoscenza assoluta in cambio della sua anima. Se nella versione originale il patto col diavolo è sugellato da un’“iniziazione omosessuale” e quindi un bacio – come scriveva Franco Quadri –, qui la relazione fra i due, che si snoderà lungo tutto il palco attraverso una partitura fisica incisiva e incalzante, si carica invece della tensione fra la femminilità ora eterea ora perturbante di Rosellini – efficace nel caratterizzare Mefistofele nei suoi diversi aspetti, anche se a volte troppo (volutamente) esasperata – e la fisicità possente di Di Michele – la cui interpretazione si distingue per una padronanza tecnica che paradossalmente appare un po’ ingombrante, perché forse ci saremmo aspettati un Faust meno ‘impostato’ ma più disorientato, dubbioso, fragile – in un sottile gioco di seduzione messo in crisi tuttavia da una giocosa inversione di genere che sembra caratterizzare il problema dell’identità come prima di tutto sessuale.
In questa danza continua fra repulsione e attrazione, blasfemia e fede, si susseguiranno così i sette vizi capitali, ci si prenderà gioco del Papa, poi apparirà Elena di Troia come ultimo desiderio di Faust, ma l’io dei due protagonisti si frantumerà per farsi contenitore non solo del Faust di Marlowe, fonte principale della drammaturgia, ma di altri fantasmi ed eroi romantici, come quelli di Cime Tempestose, insieme al Faust di Goethe e altre opere, rischiando così di lasciare lo spettatore smarrito nelle intricate stratificazioni di riferimenti e senza approfondire appieno il problema della crisi d’identità di Faust e Mefistofele che si vorrebbe affrontare.
Pur non avendo mai abbandonato del tutto Dio, il destino di Faust è segnato e la dannazione imminente. Una dannazione, in questo caso, più melodrammatica che tragica.
Ascolto consigliato
Teatro India, Roma – 4 marzo 2017
(In apertura: Foto di scena ©Cristina Gardumi 2014, per gentile concessione)