La difficoltà di crescere
Al teatro India va in scena l'incanto di Fa'afafine
Identità di genere. Forse uno dei concetti più «abusati» in questo preciso momento storico: c’è una letteratura sterminata su questo tema importante quanto delicato, dibattiti, paure e incertezze, per non parlare delle strumentalizzazioni. Ed è in questo clima di grande confusione che arriva uno spettacolo come Fa’afafine – per la regia di Giuliano Scarpinato e vincitore del Premio Scenario infanzia 2014 (produzione Teatro Biondo Palermo) – che come un faro viene a illuminare qualsiasi ottusità politica, spazzandola via, per riportare il dibattito sull’identità di genere dall’astrattezza della teoria al tessuto innervato della quotidianità, delle emozioni, dell’umano, senza bisogno per questo di scomodare chissà quale manuale di filosofia.
Chiuso nella sua cameretta, il bambino protagonista di Fa‘afafine, Alex (Michele Degirolamo), vive nell’incanto della sua immaginazione: i giorni pari è maschio, i dispari è femmina—super-eroe o principessa. Oggi però non è un giorno come gli altri, perché si sente innamorato per la prima volta; così, chiede consiglio ai suoi giocattoli e sogna di parlare con Elliot, il bambino al quale vorrebbe dichiararsi e per il quale sente che essere maschio o femmina sarebbe riduttivo: vorrebbe essere entrambi, anche se Elliot non può capirlo.
E il mondo reale? È solo un dettaglio che irrompe dal buco della serratura, un ambiente indistinto e minaccioso: ci sono le prese in giro, c’è una società conformista e superficiale incentrata su un miope manicheismo per cui si deve trovare per forza maschio e femmina, giusto e sbagliato, normale e anormale. E poi ci sono mamma e papà (Gioia Salvatori e Giuliano Scarpinato, in videoproiezione), impacciati e premurosi ma troppo adulti, troppo istruiti e troppo preoccupati per capire fino in fondo quel bambino dalla spiccata sensibilità al quale hanno insegnato che è un «problema».
Alex però non se ne cura: la sua cameretta diventa ora un acquario (visual media Daniele Solaris – Videostille), ora una lettera d’amore, ora una navicella spaziale che lo porta dritto all’isola di Samoa dove ci sono i fa‘afafine, quelli che come lui non sentono di definire il proprio gender. E se aspira al mondo totale e perfetto della sua immaginazione, dovrà capire però che il mondo degli adulti è necessariamente parziale e che nel passaggio da un‘età a un‘altra bisogna pur sempre sacrificare qualcosa – prima di tutto le paure – per non rischiare di rimanere a guardare il mondo soltanto dal buco della serratura della propria stanza interiore.
Ed ecco che, prima di essere uno spettacolo sull’identità di genere, Fa’afafine rende conto di una delicatissima fase di passaggio che determina una crescita. Non solo per Alex – interpretato con sensibile aderenza e credibilità dal «grande» Michele Degirolamo – coinvolto nei primi turbamenti adolescenziali, in quello shock che comporta conoscere l’altro, quindi sé stesso, il proprio corpo e gli impulsi che sfrecciano ancora senza meta precisa (aspetti con cui tutti si ritrovano a confrontarsi a prescindere dall’identità di genere); ma soprattutto per i suoi genitori, che cercano di rispondere alla domanda invisibile che attraversa tutto lo spettacolo: se sia davvero necessario essere normali per essere una famiglia felice. Fa‘afafine non è altro che una lunga, commovente risposta che porterà finalmente a dire «no», senza nessuna retorica.
È molto facile sentirsi comodi nella normalità. Meno facile è rendere «normale» ciò che non lo è – amarlo, accettarlo in modo incondizionato – avere il coraggio di essere se stessi senza dare spiegazioni, senza avere paura. Questa è la piccola-grande rivoluzione che Fa‘afafine porta sul palco, con estrema grazia, delicatezza e intelligenza.
Ascolto consigliato
Teatro India, Roma – 2 aprile 2016