Everything Seems So Perfect Far Away – Formanta!
Senza fretta, sono passati due anni dal’l’Ep Shiny E.P. People che si muoveva già abilmente con le proprie gambe su sonorità pop che viravano anche Oltremanica, lanciando già nel titolo un riferimento a un pezzo dei R.E.M., che tanto la band romana cita tra i propri riferimenti.
Ora c'è Everything Seems So Perfect Far Away, un viaggio sulla lunga distanza, il primo tra l’altro, un banco di prova importante che getta solide basi sui prossimi sviluppi del suono della band. Appare già più sinuoso e meno spigoloso, non solo per le linee vocali ma nella totalità degli arricchimenti.
Apertura che avviene con Sleeping Pills, futuro primo singolo, brano che va diretto al nocciolo della sostanza dei Formanta! trascinati dalla voce di Sabrina, che appena pronuncia le prime parole mi ricaccia in un turbinio infinito, fino a quelle piacevoli linee vocali delle britpop girl bands che impazzavano negli amati/odiati '90. E Sonya Madan, voce degli Echobelly, band che Morrissey tanto apprezza, è il paragone che più le si addice. Il brano si sviluppa agilmente accompagnato da una freschezza floreale, venato ogni tanto da un filo di lieve malinconia. Chiusura superba dove la voce sale portandosi il pezzo sulle spalle, ricamata e resa sostanziosa dalle chitarre, fino a quel momento dimesse e d’accompagnamento.
Attacco britpop che però si quieta subito e You'll Like It resta attaccata a se stessa, ad una certa intimità. L'incedere di piano-voce con la batteria dietro a scandirne la ritmicità in Something Left porta invece in un ambiente vaudevilliano, quasi il darkcabaret dei Dresden Dolls dove però la componente più cupa è totalmente annientata dalla solarità vocale che viaggia su tonalità diverse rispetto alla Palmer, front-woman del duo.
Down In Here cresce invece riempiendosi a corrente alternata di flebile leggerezza o sostenuta urgenza, ravvivata dal finale che potrebbe far ricordare Louie Wenere gli Sleeper. Sugar Cane (e qui penso ancora al loro amore per i R.E.M: “That's sugarcane that tasted good. / That’s cinnamon, that’s Hollywood. / C’mon, c’mon“) ordisce soffici intrecci di chitarre smithsiane a braccetto con il cantato, in un taglio tendenzialmente multicolore e di ampio respiro che dopo il bridge riemerge, andandosi a concludere in maniera essenziale.
Poi parte la favola, perché è quello che pare Little Girl, vaporosa, velatamente uggiosa ma soprattutto sincera in ogni sua parte, in ogni sua nota, richiamando una Kate Bush meno tormentata.
After the Day (uscito già come singolo nel 2010) è l'episodio che innesta tinte forti, più decise, sonorità più riverberate e sporche rispetto a tutto il resto dell'album; e appunto va in accoppiata perfetta con il successivo We’re Swimming, più sostanzioso, a ricordare Elastica e Heavenly, con un basso portante che si fa notare per tecnica e impronta. No Title si riallinea ai precedenti ma con un ingresso oscuro e una batteria serrata che restituiscono una certa severità, istantaneamente alleggerita dalla cantante. Chiude il cerchio e l'album Astronauts che è la giusta conclusione, equilibrata e meticolosa.
Tutto il disco gode di questa dovizia di particolari negli ottimi arrangiamenti e si fa forza su una omogeneità di brani sempre diretti e facilmente assimilabili. E se questa omogeneità magari in un futuro fosse messa da parte e favore di maggiore libertà? Per ora ci godiamo questi piccoli gioiellini, che da vicino sono ancora più belli.
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