Lo scorrere del tempo gioca strani scherzi. Può capitare così che un’opera innovativa, rivoluzionaria o trasgressiva, nel giro di pochi anni venga normalizzata fino a diventare classico, tanto che oggigiorno un autore anarchico come Pirandello, ad esempio, ci appaia datato, da repertorio, o addirittura fonte di barbose questione quali “Che senso ha portarlo in scena? Cos’altro ci può ancora dire?”, come se l’arte si riducesse a creazione vincolata a un dato periodo storico, superato il quale bisogna preoccuparsi solamente del “nuovo”. Eppure, la parola “originale” – vale la pena ricordarlo – non sta per inedito bensì per “legato all’origine”, insomma, per tutto ciò che indipendentemente dalla sua dimensione temporale riesce a innestarsi ogni volta in una radice comune chiamata “essere umano”. Ad ogni modo.
Matteo Tarasco decide di portare in scena l’Enrico IV, capolavoro pirandelliano del ’21 in cui il gioco – e il dramma – delle maschere raggiunge il suo apice: chi è più folle, il pazzo o chi alimenta la sua pazzia? Il regista veronese tuttavia opta per uno spostamento prospettico e anziché concentrarsi sul presunto pazzo che dà il nome all’opera, posa lo sguardo su coloro che la farsa la portano avanti e al contempo la subiscono, vale a dire gli attori ingaggiati per secondare la follia dell’emulo imperatore fràncone. Ecco allora che il testo originale si apre a una visione rinnovata.
È una scelta estremamente intrigante – tanto più che né Enrico IV né i suoi parenti compariranno mai in scena – dai notevoli risvolti metaforici: la rilettura infatti si presterebbe così a una sorta di moderno 1984 in cui gli attori si fanno riflesso di una società odierna che se da un lato ha smarrito la propria identità, dall’altro invece vede complotti, ingerenze e cospirazioni ovunque; nonché, in sottotraccia, stimolerebbe speculazioni sul sottosuolo culturale dei nostri giorni ancora infestato dallo spauracchio del Novecento (voluto, rifiutato e temuto a fasi alterne). Peccato però che l’invenzione iniziale di Tarasco viri verso orizzonti più modesti.
Lo spettacolo vede tre giovani attori disoccupati (Federico Le Pera, Tiziano Panici, Brenno Placido) recitare a cottimo nella parte dei consiglieri del finto monarca; poco a poco tuttavia i fili della surreale messa in scena cominceranno a intrecciarsi con le loro vite private e i tre assimileranno sempre di più lo scollamento di quella follia interpretata quotidianamente: una contrazione-scissione interiore che esploderà nel momento in cui la venuta di Said (Sidy Diop), emigrato gabonese assoldato a sua volta come pseudo-vassallo, altererà definitivamente l’assurdità della situazione.
Godibile, divertente, dagli sparsi richiami pirandelliani e i numerosi rivolgimenti, Enrico IV (ma forse no) è una narrazione noir thriller, in bilico tra farsa e dramma, in grado di intercettare nuovi spettatori. Un vero peccato, tuttavia, che lo spettacolo non dia di più, perché quel prezioso meccanismo iniziale racchiude un potenziale drammaturgico che potrebbe reggere il confronto con Rosencrantz and Guildenstern are dead di Tom Stoppard.
In apertura: Foto ©Pino Le Pera 2014