Uno spettacolo non è mai soltanto uno spettacolo, così come un uomo non è mai soltanto un uomo. Enea ad esempio chi è: un eroe o un vinto, un colonizzatore o un clandestino? Ceci n’est pas une pipe, se preferite. Per questo, ancor prima di entrare all’Argentina, non può che sorgerci un dubbio: cosa stiamo andando a vedere?
Nell’83 l’Eneide di Krypton fu uno spettacolo rivoluzionario; con la sua miscela di luci performative, new wave mediterranea firmata Litfiba e una recitazione per assenza, segnò una traccia profonda nel teatro di ricerca. Passano poi trent’anni e Giancarlo Cauteruccio (ideatore e regista del progetto, nonché fondatore, insieme a Pina Izzi, della compagnia Krypton) ritorna sui suoi passi, decide così di contattare Maroccolo e compagni e riallestire il celebre spettacolo. Cos’è quindi questa nuova Eneide?
Si apre il sipario dell’Argentina e c’è lui, l’eroe eponimo, spossato, invecchiato, demotivato: alza una lancia di luce, ma subito il braccio cede, il colpo affonda nel vuoto, il buio non viene scalfito. Di lì a poco i tre musicisti alle sue spalle (Maroccolo, Aiazzi e Magnelli: in arte Beau Geste), le luci laser e le videoproiezioni scuoteranno l’intera sala dell’Argentina riattraversando le tappe principali del’epos latino, ma prima che tutto ciò prenda forma c’è la stanchezza. Questa sospensione sembra darci la chiave d’accesso: stiamo per sprofondare nell’incubo – reale – di Enea, nell’allucinazione angosciata del suo passato.
Si tratta solamente di una possibilità di visione, ma in questa dimensione che è tanto scenica quanto psicologica e narrativa parrebbero convergere tutti i fuochi della storia: la storia di Enea, eterno fuggiasco della propria vita, la storia della stessa Eneide di Krypton, nella sua coreografica scomposizione dal teatro “materiale”. La partitura visivo-musicale, infatti, si mescola alla voce graffiante di Cauteruccio restituendo così alla rielaborazione dei versi di Virgilio un’angoscia manifesta, come un rimorso che torna a galla: Enea in fondo è anche colui che ha rifatto agli altri ciò che per primo ha subito, vittima di una fatale coazione a ripetere. Su questo si è fondato l’impero romano, su questo il nostro occidente, su questo i nuovi orrori dell’attualità: il vero clandestino forse è chi non riesce a fuggire dal proprio dolore.
I detrattori potranno accusare lo spettacolo di essere ambiguamente obsoleto, giacché diversi elementi si sono modernizzati senza tuttavia discostarsi da un immaginario che rimane inconfondibilmente anni ’80; ed a volte, effettivamente, il confine fra il vintage e il kitsch si fa sottile. Ma l’Eneide di Krypton non ha la presunzione di presentarsi come un nuovo spettacolo, anzi, se c’è un dato che appare evidente fin da subito è l’onestà dell’operazione: è uno dei rarissimi casi in cui la generazione degli anni ’50-’60 finalmente fa un passo avanti, si assume la responsabilità del proprio passato e quindi del proprio ruolo nella storia—si espone al confronto.
Nella nuova Eneide di Krypton, insomma, non si può più cercare la rivoluzione che fu negli anni ’80, e non avrebbe alcun senso farlo, ma in essa si può e si deve scorgere un esempio importante, per questo Paese culturalmente incastrato, di artisti maturi che accettano di diventare maestri, ultracinquantenni che smettono i panni dell’eterno giovane e liberano così le nuove generazioni dal limbo di un’orfanilità coatta.
Perché, come ci porta a riflettere Cauteruccio, in ogni emarginato (qualunque sia la sua emarginazione) si nasconde un eroe caduto.
Ascolto consigliato
Teatro Argentina, Roma – aprile 2015