Il limbo tra modernità e memoria
Else di Nunzia Antonino e Carlo Bruni
Accade, molto spesso, che un’opera letteraria, teatrale o cinematografica datata si adatti (quasi) perfettamente ai tempi correnti. Questa capacità di rendersi impermeabili al cambiamento, frutto di una lungimiranza autoriale o di una staticità culturale, porta molti «classici» a essere riproposti quasi integralmente nella loro idea di base. Senza andare troppo indietro nel tempo, basti ricordare il recente Der Park di Peter Stein, una pièce datata 1985 e riproposta in questi due anni mantenendo pressoché inalterata la sua forma originale. Un allestimento maestoso quanto interminabile, estremamente attuale ma che, in alcune componenti, ha perso inevitabilmente freschezza.
Ed è passato quasi un secolo (1924), invece, da quando lo scrittore austriaco Arthur Schnitzler scriveva Signorina Else, un romanzo breve che metteva in mostra l‘ipocrisia di una società alle prese con la sua crisi culturale. Un flusso di coscienza che esplicitava le teorie freudiane e, a quanto pare, i giorni nostri. Da una libera interpretazione del romanzo in questione si fonda Else, messinscena diretta da Carlo Bruni (produzione Compagnia La luna nel letto) che proprio con l’operazione di Stein sembra avere qualche affinità.
Il buio totale invade il Teatro Comunale di Novoli, mentre nell’aria riecheggiano, sovrapposte e a tratti incomprensibili, le parole chiave del dramma. La scena s’illumina e con essa il grande tavolo che, partendo dal palco, si allunga fino alle prime file della platea. Inizia così il processo che porterà Else (Nunzia Antonino) – lontana, per dato anagrafico, dal personaggio letterario – all’autodistruzione per mano del Veronal (medicinale ormai fuori moda) diluito nelle coppe da champagne disposte lungo tutto il perimetro della tavolata.
Ogni sorso della bevanda/droga corrisponde a un passo in avanti verso la perdita della coscienza della protagonista. Il monologo che ne scaturisce smaschera la falsità celata dietro la classe borghese, perennemente attenta a mantenere immacolata la sua facciata perbenista ma corrotta al suo interno da abitudini e atteggiamenti fuori da ogni qualsivoglia regola di buoncostume.
La storia, dunque, pare non essere cambiata; e non è impresa ardua ritrovare nei personaggi di ieri le norme comportamentali di oggi: dal padre della protagonista, avvocato/equilibrista che cerca di tenersi stretto il suo posto nell‘alta società nonostante i debiti accumulati; al signor von Dorsday, bravo a nascondere le sue perversioni dietro l‘elegante doppiopetto; e concludendo con la bella quanto inutile Else, che studia francese, piano, recitazione ma, in fin dei conti, non sa come procurarsi da vivere.
Ma se da un lato ritroviamo tali analogie, dall’altro non riusciamo a immergerci completamente nei metodi antiquati e nelle ambiguità trapassate, ormai lontane dal produrre, oggi, un reale scandalo o quella scossa emotiva che certamente provocò il romanzo al momento della sua uscita. Se nel romanzo Else rimane succube della lettera materna e della proposta di prostituzione visiva di von Dorsday, al pari la messinscena sembra essere sottomessa alla penna di Schnitzler, vanificando i pochi interventi drammaturgici e scenici presenti.
È sempre difficile rapportarsi a un classico: c’è sempre una sorta di timore reverenziale che probabilmente non permette di “sgualcire” troppo l’opera originale. Ma a volte è necessaria una maggiore intraprendenza in fase di (ri)scrittura, altrimenti, e torniamo a chiamare in causa anche Der Park, si rischia di proporre uno spettacolo bello da vedere ma che evidenzia le rughe del tempo che passa, laddove l‘intento principale è, invece, di celebrarne la modernità.
Ascolto consigliato
Teatro Comunale di Novoli (LE) – 16 aprile 2016