Siamo bravi anche noi, come gli americani?
Elogio sperticato di Gomorra
E’ tipica usanza italiana lamentarsi del proprio paese. Spesso a priori. Non funziona questo, non siamo capaci di fare quello, i cervelli scappano all’estero, ecc.
Pur riconoscendo tutta una serie di limiti e di difficoltà che pesano su un paese in affanno credo che troppo spesso si esageri, ingigantendo. Anche quando si parla del nostro cinema, della nostra televisione.
Ok, è vero: non ci sono confronti con alcuni prodotti provenienti dall’estero (se ci mettiamo, in particolare, a parlare di serie, il gap con gli Stati Uniti – ad esempio – pare al momento incolmabile)… eppure in questo scenario dove moltissimi hanno scelto di criticare/distruggere e pochi di provare a rimboccarsi le maniche bisogna segnalare Stefano Sollima (già autore di “Romanzo criminale – La serie”), un regista romano, figlio d’arte, classe ’66; costui pare (per usare una metafora calcistica) uno di quei giocatori instancabili: uno di quelli che, anche se la propria squadra sta perdendo due a zero, a pochi minuti dalla fine, continua a correre, a sperare in un miracolo.
Sollima, con i 22 episodi del tanto premiato e seguito “Romanzo criminale”, ci dice di non temere: siamo bravi anche noi, con la serialità. Ci dice anche che la camera a mano un po’ sporca, il montaggio serrato, una messa in scena ruvida (e lontana anni luce dai prodotti patinati e ingessati che troppo spesso portano il marchio “made in Italy”) ce la possiamo permettere anche noi, non solo gli americani.
Nel 2014 il sopracitato regista fa il bis, confermandosi ad altissimi livelli. Firma la supervisione artistica (e la regia di alcune puntate) di una serie incendiaria, pressoché perfetta, che scivola via, avvincente, puntata dopo puntata, lasciando lo spettatore inerme, sconvolto, senza fiato. Il titolo è Gomorra. C’è ancora un romanzo alla base di tutto (se la storia della banda della Magliana l’aveva scritta De Cataldo qui siamo alle prese con il bestseller di Saviano) e c’è ancora una volta un film che non riesce, nell’arco di un paio d’ore, ad esprimere tutta l’energia dei romanzi-inchiesta appena elencati (sia Placido con le vicende romane che Garrone con quella campane avevano fatto un buon lavoro…i loro film però non reggono minimamente se accostati al corrispettivo televisivo: la rivincita del piccolo schermo).
Anche Gomorra ha subito conquistato gran parte della critica dimostrandosi un successo, in termini di audience, per Sky (per vedere un prodotto simile sulla Rai quanto dovremmo aspettare, ancora?).
Il consiglio è di reperire le 12 puntate che compongono la prima stagione (si, ne faranno un’altra, il finale è apertissimo) e pensare che l’Italia non è solo Don Matteo. Che la componente action la sappiamo trattare anche noi, egregiamente. Che non servono interpreti strapagati e strafamosi per arrivare lontano: Marco D’amore (nella serie Ciro) e Salvatore Esposito (Genny Savastano) sono uno spettacolo per gli occhi e per le orecchie: la metamorfosi che i loro personaggi attuano, la potenza della loro recitazione dovrebbe essere d’esempio per chi vuole, un domani, cominciare la carriera dell’attore. La colonna sonora dei Mokadelic (anche loro, per la cronaca, italianissimi) si incastra a perfezione nel contesto, tenendo il ritmo. Potrei andare avanti: la fotografia livida firmata a quattro mani da Carnera/D’Attanasio. Il montaggio di Marone, che non è quasi mai quello che ti aspetteresti. Ecc.
Arrivare ai livelli di una serie come Breaking Bad non è impossibile. Gomorra lo dimostra. Non lamentiamoci sempre. Siamo bravi anche noi, qualche volta. Bravissimi.