La Banalità del Male in ‘E C H O E S’
Al Teatro Studio Uno il nuovo spettacolo di Patti e De Liberato
Forse il male è questione di un soffio, pura probabilità: c’è o non c’è. Basta il germe di un niente – un trauma o una mancanza – a sedimentarsi in una mente fragile, ché nel tempo generi mostri. E stragi. Ora, immaginiamo per un attimo di ritrovarci faccia a faccia con un terrorista che ha appena ucciso degli innocenti: passati i primi impulsi irrazionali, cosa gli chiederemmo? Certamente, la prima cosa sarebbe perché. Ma per arrivare a quel perché servono tante altre domande.
Echoes di Stefano Patti (produzione Marabutti) mette in scena proprio questa possibilità. In un’atmosfera claustrofobica – il pubblico posto lateralmente, come due blocchi di diverse fazioni – due uomini sono seduti uno di fronte all’altro, classica scena da interrogatorio. Ecoh (Marco Quaglia) ha appena sganciato una bomba su più di un milione di innocenti, De Bois (Stefano Patti) è un giornalista venuto nel suo bunker per intervistarlo. Ben presto, però, l’intervista si trasforma in un dialogo serrato in cui alle domande sulla strage se ne confondono altre, in un botta e risposta tra vita privata e grandi temi, universale e particolare (amore, economia, famiglia, religione). De Bois guidato dal perché, Ecoh dal come; ché un motivo al male non c’è: esiste, come c’è la morte, il respiro, la vita.
E infatti il male è qualcosa di semplice, di mediocre anche. Lo scriveva Hannah Arendt ne La banalità del male, di cui Ecoh sembra incarnare la rappresentazione. E come quando Eichmann, gerarca nazista a capo delle deportazioni degli Ebrei, affermava nel suo processo di limitarsi semplicemente a «eseguire degli ordini», così Ecoh dal canto suo non fa altro che «autorizzare lo sgancio» delle bombe: la vita umana è rimossa, diventa un dettaglio irrilevante, una questione di equilibrio tra chi muore e chi resta.
Il testo di Lorenzo De Liberato si insinua nella logica follia di un attentatore, come in quella di un uomo comune che con buonsenso e umanità cerca delle risposte: ma non solo. Oltre al dialogo fra un giovane giornalista nervoso e un po’ impacciato e un criminale dominato da un sinistro controllo fisico e verbale, c’è anche la metafora di un tiranno e del suo popolo, di uno Stato assediatore e uno assediato, in cui si mette in guardia da una serie di connivenze sotterranee che in realtà non li rendono poi così distanti; proprio come accade tra Ecoh e De Bois.
E se la distinzione vittima/carnefice fosse solo una mera questione di interscambiabilità, non certo di etica? Cosa farebbe la vittima al posto del carnefice?
Buio. Improvviso rovesciamento. Ora De Bois punta la pistola contro Ecoh. La situazione precipita in un inferno crescente. Tutte le distinzioni fra buono e cattivo, giusto e sbagliato, si azzerano: ognuno diventa il nemico che cerca nell’altro, ognuno cerca la salvezza, Ecoh di sé stesso, De Bois dell’umanità. Continuare o no la guerra? Uccidere o no il terrorista? Domande, ancora domande, e un altro buio finale a troncare tutte le risposte.
C’è un’aria asfissiante all’interno del Teatro Studio Uno (scene e costumi Barbara Bessi;luci Matteo Ziglio; musica Samuele Ravenna). Gli attori soffocano in una camicia troppo stretta, brancolano in uno spazio angusto, i nervi a fior di pelle li fanno saltare dalla sedia; ma la loro presenza, il controllo e l’intesa riescono a smorzare la tensione che scoppia in urla drammatiche con altrettanti momenti di ironia più distensiva. Un’interpretazione coinvolgente e sfaccettata di un primo studio che scorre tutto d’un fiato, mettendo in campo argomenti controversi di grande drammatica attualità.
Gli echi del titolo sembrano essere quelli che, usciti dalla sala, continuano a riverberare dentro di noi: chi è il vero nemico?
Ascolto consigliato
Teatro Studio Uno, Roma – 18 novembre 2015