Due: la felice convivenza artistica
Tra Compagnia Habitas ed Esercitazioni Invisibili
C’è un periodo di splendori artistici unico nella storia europea, è quello della Repubblica di Weimar. Anni pieni di sperimentazioni e scoperte che posero le basi artistiche per buona parte del Novecento europeo. Dalla Bauhaus ai teatrini scalcinati di Berlino, dove i dadaisti componevano le loro opere, il fermento artistico cresceva. Anni talmente ricchi di novità che nessuno avrebbe mai immaginato il baratro in cui tutto sarebbe presto poi precipitato.
Da questo periodo la Compagnia Habitas prende in prestito Karl Valentin e Liesl Karlstadt, due attori tedeschi, molto più che semplici comici: perfino Brecht si accorse della loro genialità ed è a loro che si deve la composizione scenica straniante, che qualche anno più tardi caratterizzò la drammaturgia del regista tedesco.
In L’imbroglietto, quello dei due attori in scena (Livia Antonelli e Niccolò Matcovich) è un omaggio spudorato, un lavoro manierista, studiato nei minimi dettagli a partire dal vocabolario usato in scena. Un dizionario fantasioso, costruito a regola d’arte; un’invenzione riuscita che legata alla gestualità meccanica degli attori crea un intermezzo sofisticato e spassoso. Ma non si tratta solamente di ricalcare le movenze dei due comici tedeschi, c’è qui anche uno studio attento dell’equilibrio della scena insieme alla drammaturgia precisa e convincete del racconto teatrale. Sono irresistibili Karl e Stand, fanno ridere come due burattini sconnessi dalla realtà in un gioco beckettiano delle coppie che non diventa mai noioso o artificiale.
Una felice compisizione che alleggerisce l’anima e rende sereni, caramella dolce che il regista mette in bocca al pubblico per poi farlo sprofondare in una storia cupa, una vivisezione della coppia e delle storie d’amore: questo è O mi ami O ti odio (Esercitazioni Invisibili), testo scritto da Niccolò Matcovich.
Sulla scena tutto avviene, senza troppe censure, su un tavolo d’acciaio. Qui Simone Giustinelli taglia, squarta, sfoga tutto ciò che si nasconde dietro una storia d’amore. I pensieri che non riteniamo necessari, di cui spesso ci vergogniamo, ma che non possiamo fare a meno di pensare, vengono a galla. La scena teatrale si trasforma così in una sorta di seduta psicoanalitica dove è lecito dire qualsiasi cosa. Stupri, accoltellamenti feroci, insulti: tutto è permesso e guai a interrompere o controbattere allo sfogo, necessario come un bisogno ancestrale e catartico.
La drammaturgia di questo testo convince sin dall’inizio, magari alla fine si dilata troppo in un sentimentalismo che stona con la sua natura, ma è un piccolo dettaglio su cui si può sorvolare. Il testo è “visivo” e sebbene sembri essere nato solamente per la pagina scritta, la regia e la recitazione di Simone Giustinelli riescono a renderlo vivo in maniera semplice e diretta.
Un ottimo lavoro per la compagnia; e arrivati quasi alla fine di questa stagione, si può dire che anche i giovani in fondo sanno fare teatro.
(Foto ©Simone Galli)
Letture consigliate:
• L’ipocrisia tra curva e tribuna: Giustinelli tenta il ritratto dell’Ultràs in Fuckin’ Idiot, di Adriano Sgobba
• Girotondo – Simone Giustinelli | Arthur Schnitzler, di Sarah Curati
• Quel noioso giorno d’estate – Niccolò Matcovich, di Nicola Delnero
Ascolto consigliato
Teatro dell’Orologio, Roma – 26 maggio 2016