La coscienza della storia corre in treno
A Genova rivivono le 'Donne in Guerra' di Laura Sicignano
Fascismo. Partigiani. Morti. Siamo talmente abituati a sentir parlare della Seconda Guerra Mondiale che ormai quasi non la percepiamo più come un fatto reale: libri, documentari, film, spettacoli, programmi, è diventata una grande epopea; eppure, nella sua spregevole violenza, è stata un evento dannatamente normale. È questo forse che non riusciamo ancora ad accettare, questo che non ci ha ancora portato a capire che una tragedia del genere può ripetersi in qualunque momento.
È proprio da qui che parte Laura Sicignano – fondatrice e direttrice del Teatro Cargo di Genova da oltre vent’anni (1994) – con il suo fortunato spettacolo Donne in guerra (2008). Per quanto infatti, come suggerisce il titolo, protagoniste saranno le donne, non bisogna lasciarsi trarre in inganno: non ci troviamo qui di fronte alla tipica operazione pregna di retorica femminista che mira a evidenziare come la vera guerra la vivessero molto più le donne rimaste sole in città anziché gli uomini al fronte; no, qui piuttosto scorgiamo un campione di umanità che ci mostra il lato assolutamente anti-epico di una follia barbara che di eroico, in fondo, ebbe davvero ben poco.
A sottolineare la normalità sarà innanzitutto il luogo: la storica linea ferroviaria che dalla stazione di Genova-Manin (costruita proprio in epoca fascista) attraversa la Valle Scrivia e giunge dopo 24 km al piccolo comune di Casella. E Donne in guerra corre qui, sul trenino storico degli anni ’20. Salire a bordo di questo spazio diventa percorrere un viaggio nel tempo, in tutto il tempo, immergersi cioè in una frazione di mondo che pur esisteva prima della guerra e che ha continuato a esistere poi, il nostro mondo.
Per questo – è importante ribadirlo – non si tratta né di uno spettacolo “al femminile” né di uno spettacolo limitatamente “storico“: le donne sono donne, la guerra è la guerra, certo, però innanzitutto è un affresco sociale-archetipico.
Sei le protagoniste: una spola partigiana, una appassionata fascista, una signora borghese, una casalinga poi operaia, una contadina-levatrice e una ragazza sola, astratta nel suo eterno candore. Le vediamo presentarsi per la prima volta alla stazione di Manin, ci appaiono come volti che riaffiorano da una foto sbiadita, piccole storie le loro ma rappresentative, “archetipi sociali” appunto di una storia che coinvolge tutti. Dopo averne intuito già le prime tensioni saliamo a bordo del Trenino storico e ci avviamo su per il binari unico (oltre 300 metri di dislivello). Pian piano che il vecchio locomotore marcia, le attrici attraversano i vagoni d’epoca in cui gli spettatori sono distribuiti, portando ciascuna il suo punto di vista, i suoi sogni e le sue piccole meschinità.
E sullo sfondo rimane sempre lei, la guerra, ma soprattutto quella che più ha lasciato un segno forte nel Paese, la guerra civile. La storia infatti, ambientata nel ’44, poco a poco si scarta dai binari strettamente cronologici e, alla prima sosta, si lascia squarciare da quella dura realtà di fronte alla quale ogni grande idea, ideale o principio umano si sgretola. Ritorniamo a bordo, ma qualcosa è cambiato, i sogni si sono incrinati, la “vita puttana e mediocre” ha trionfato con quella sua morte amara che non uccide, peggio, lascia vivi e distrutti: fascisti, partigiani, eroi, vittime, donne, uomini, non importa più, rimangono solo sconfitti. Perché quando giungiamo a farci la guerra, rinunciando alla nostra comune natura per massacrarci in nome di chissà quale passeggero ideale o identità culturale, è un’umanità intera che ha fallito.
Infine rimarranno solo i corpi, fragili, esposti, tutti uguali da nudi: rimessi al mondo, rimessi alla vita, rimessi alla morte, con un limone stretto fra le mani – “un omaggio a Montale”, ci spiega Sicignano.
«Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s’abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
[…]
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità.»
È questo lutto espressivo, questo grido muto dell’inesprimibile che emerge netto e pacato dallo spettacolo di Laura Sicignano. Forse la recitazione meriterebbe di essere – per quanto scevra da velleità accademiche (toccante e magnetica, nel suo rigore, Fiammetta Bellone) – ulteriormente de-teatralizzata (si pensi a interpreti per sottrazione come D. Deflorian, F. Santoro, T. Bartolini), forse il testo di tanto in tanto oscilla rischiosamente tra archetipo e stereotipo; ma ad ogni modo, come dimostrano oltre otto anni di repliche, riconoscimenti internazionali, trasposizioni da palco, “vecchi” spettatori che ritornano nel tempo e il tutto esaurito ogni sera (si noti che il biglietto, dato l’uso del treno d’epoca, non è affatto economico), Donne in guerra realizza con lucida sensibilità ciò che si propone: un attraversamento teatrale nella coscienza della storia.
• Voci dalla ferrovia: la Corsa Speciale degli Omini con scarto antropologico, di Giulio Sonno
• Il colpevole ritardo del dolore in ‘Armine, Sister’ di Teatr Zar, di Giulio Sonno
Altri spettacoli di Laura Sicignano:
• Scintille: l’incendio dell’8 marzo, di Adriano Sgobba
• Bianco&Nero, oltre le dicotomie, di Adriano Sgobba
Crediti:
Ideazione e regia Laura Sicignano
Testo: Laura Sicignano e Alessandra Vannucci
Costumi: Laura Benzi
Con Fiammetta Bellone, Annapaola Bardeloni, Sara Cianfriglia,
Arianna Comes, Elena Dragonetti, Irene Serini