Era il 1990 quando un regista, dentro il cinema di Pedro Almodovar, già teorizzava la necessità del rodaje terapeutico: girare film per guarire. Era il Francisco Rabal di Legami! (1989) un anarchico satiro in andropausa dietro la macchina da presa. Trascorsi trenta anni e molti film, dentro un percorso d’autore in cui ad ognuno di questi Almodovar ha attribuito il valore di un esorcismo personale, è la volta di Salvador Mallo, il protagonista di Dolor y Gloria, nuova e aggiornata incarnazione di regista alter ego. Un cineasta in profonda crisi, afflitto da nevrosi e malesseri psicosomatici spie di un passato con cui non ha mai davvero fatto i conti. Il cinema lo verrà a salvare. La presentazione di una copia restaurata di un suo vecchio film lo farà tornare in contatto con uno dei suoi attori prediletti.
Un monologo teatrale denso di memoria cinefila gli riporterà accanto il grande amore. Il film della sua infanzia donerà nuovo slancio alla sua carriera. Ha il passo e il tono di un’opera in qualche modo conclusiva l’ultimo film di Pedro Almodovar, presentato in concorso al Festival di Cannes. Un film innestato sui meccanismi del giallo deduttivo, che dipana i nodi intorno a cui si è inceppata la creatività del suo protagonista avvicinandolo progressivamente alla “soluzione”, e che presto assume la fisionomia di un bilancio umano ed artistico.
Troppo poco, tuttavia, accontentarsi della semplice lettura autobiografica che individua nel corpo di Salvador Mallo/Antonio Banderas la figura del regista Almodovar, traslato di peso dentro lo schermo con il suo bagaglio personale di ricordi, pulsioni, traumi e ossessioni. Lo stesso Almodovar ha più volte scoraggiato questa lettura, che si affanna nella ricerca di una (presunta) verità cercandola nel posto sbagliato. Più suggestivo può essere leggere nel personaggio del regista Mallo, e nel suo itinerario di Dolor y Gloria, una sintesi del corpus di opere del regista Almodovar. Stemperato il gusto della provocazione queer degli esordi e rielaborato il mélo della sua produzione recente, Dolor y Gloria costruisce una saldatura ideale tra fasi diverse della carriera del cineasta iberico, trovandola nella splendida interpretazione di Antonio Banderas.
Dopo La pelle che abito (2011), spiazzante esercizio di stile radicalmente diverso dai sulfurei capolavori degli anni 80, sembrava che il lungo sodalizio artistico tra Almodovar e Banderas non avesse più molto da dire. Nel 2017 un attacco cardiaco dell’attore si è incaricato di cambiare le carte in tavola, regalando al cinema un Antonio Banderas molto cambiato, dotato di una sensibilità che Almodovar ha saputo magnificamente valorizzare. Disarmante la capacità di Antonio Banderas di calarsi nella pelle che Almodovar gli ha cucito addosso. La sua straordinaria interpretazione, premiata a Cannes, è la prova che la cura sta tutta lì, nel sapersi rigenerare tornando al primo desiderio, facendosi splendore nell’erba e fragile frammento di luce.