Lo stupro della speranza
Con Dissonorata La Ruina denuncia le colpe della tradizione
Il nostro pianeta è popolato da creature bizzarre, da paradossi in carne e ossa. Da un lato anno dopo anno, mese dopo mese, giorno dopo giorno si esalta la capacità dell’uomo di correre verso il futuro alla velocità della luce per reinventarsi, rigenerarsi e staccarsi da un passato che non gli appartiene più; dall’altro, invece, si rimane impietriti di fronte all’immobilità sociale e culturale in cui, sempre quell’uomo, è spesso confinato e dalla quale proprio non riesce a trovare una via d’uscita. Nel primo caso ci si compiace degli incredibili passi in avanti compiuti; nel secondo si rimane inermi, ci si stringe nelle spalle e si spera che in qualche modo il futuro riservi sorprese migliori.
Proprio a questa seconda condizione ci si accosta dopo aver assistito a Dissonorata. Delitto d’onore in Calabria, uno spettacolo del 2006 in cui Saverio La Ruina narra una Calabria del secondo Dopoguerra, dominata dalle ferree regole patriarcali schiaccia-donne. Basta volgere lo sguardo al mondo islamista, dal quale il testo di La Ruina trae ispirazione insieme alle storie del vecchio Meridione; basta andare al cinema a guardare Mustang di Deniz Gamze Ergüven, ultimo esempio sul medesimo tema; o ancora, basta semplicemente sfogliare i giornali e guardare i TG per capire che non molto è cambiato. Ma a volte non occorre nemmeno varcare i confini della nostra penisola, dove le leggi patriarcali sembrerebbero aver esaurito il proprio corso, per accorgersi che la condizione femminile è ancora oggetto di soprusi da parte di un potere maschile troppo soffocante.
La scena del teatro è spoglia. Ci sono solo due sedie, una per La Ruina e l’altra per Gianfranco De Franco, musicista che con le sue note accompagnerà la performance del protagonista. I due entrano in scena nel buio totale: si odono i passi e i respiri, prima che la luce fioca inizi a illuminarli. L’attore calabrese indossa abiti femminili, di una femminilità casta e oppressa, e in dialetto calabrese s’incarna in Pascalina, ragazza desiderosa di diventare donna. Lei segue gli insegnamenti paterni, cammina sempre a testa bassa, ma è anche una sognatrice e attende il suo principe azzurro. Lo trova affacciandosi al balcone, ma la promessa di matrimonio di lui si rivela solo un’occasione per approfittare del suo corpo.
La Ruina rimane seduto per tutta la durata dello spettacolo. La sua è una magistrale interpretazione che verte sulla musicalità delle parole (colorate da un timbro femminile), e sulla padronanza del gesto, mai improvvisato e sempre calibrato. Con questa apparente semplicità, l’attore ci introietta nelle paure di una donna che vede vanificare il suo sogno, nell’odio di una famiglia che cerca di bruciarla viva pur di mantenere l’onore, e nella speranza, personificata da una zia che le concede di dar luce alla sua creatura in una stalla, come fosse un novello Gesù Cristo.
Un monologo struggente che nel 2007 valse a La Ruina due Premi Ubu (Migliore attore italiano e Miglior testo italiano). Un percorso esistenziale che sfocia nella narrazione antropologica dall’apparente anacronismo ma che si rivela, purtroppo, ancora troppo attuale.
Per saperne di più del teatro di Saverio La Ruina:
La perversione ossessiva di Polvere. Dialogo tra uomo e donna, di Giulio Sonno
Italianesi: la storia scomoda che ci appartiene, di Manuela Margagliotta
Il segreto inconfessabile di Masculu e Fiammina, di Elena Cirioni
Ascolto consigliato
Teatro Comunale di Novoli (LE) – 14 febbraio 2016
In copertina: ©Sokari Douglas Camp Waka Shage Coll.Privata