Foto di scena ©Marzia Toiani

Dino – Bernardo Casertano

Non può sentire il calore, non può abbracciare, non può sbagliare; è il più sventurato degli uomini? No, perché in realtà non può neanche morire. Dino, infatti, il tempo lo conosce da sempre e forse, proprio per questo, non l’ha mai potuto sfiorare – perché se a durare è solo ciò che si esaurisce, chi non conosce fine come può essere consapevole della propria vita? Come goderne?

È misera l’esistenza di un angelo e Bernardo Casertano (regista, autore, unico interprete) ce lo mostra fin da subito. La sua è una creatura poco celeste, senza ali, legata all’alto da una corda che ne fa una marionetta abbandonata, incatenata alle mani di un dio assente. Come molti suoi colleghi letterari, egli osserva affascinato gli uomini, la loro mortalità e ciò che li rende unici e meravigliosi – senza che essi se ne accorgano -: il loro diritto all’errore.

E così si affeziona a un bimbo molto particolare: Dino – una sorta di Tommy degli Who -, il quale, nel suo reale o metaforico autismo (rappresentato da un blocco di ghiaccio in cui è rappresa un’anima rossa di sangue), mostra all’angelo un riflesso tutto umano della sua stessa condizione. Anche il bambino d’altronde è trattenuto dalla stesso cordone ombelicale al suo genitore; entrambi dunque ci appaiono come feti interrotti e complementari nella purezza, sospesi in un limbo senza io. Infine, la corda, come anche il ghiaccio, si scioglierà, ma solo per condurre a una liberazione ultima tutt’altro che felice.

A dominare è il gesto, l’oscillazione danzante di uno spirito incapace di comunicare all’esterno; e in questo, l’artista in scena, si dimostra preciso trapezista delle emozioni. D’altronde, la narrazione effettiva di questa non-storia (ispirata solo in parte a Il re del plagio di Jan Fabre) è minima e, in qualche modo, intuibile; ciònonostante il pubblico a volte sorride e ridacchia un po’ troppo, senza cogliere fino fondo che l’ironia delicata di Casertano e dei suoi personaggi è in realtà tragica (v. ironia tragica/sofoclea). Contrariamente a quanto possa apparire da queste parole, tuttavia, si tratta di un fatto importante, positivo, che rende particolarmente avveduta la scelta delle Carrozzerie n.o.t di ospitare nei suoi spazi – felicemente anticonvenzionali – questo spettacolo (che forse in diversi contesti avrebbe potuto essere tacciato di “dantismo”); facendosi insomma palestra sensibile per ogni tipo di spettatore che voglia vivere il teatro con libertà.

Ieri sera, accanto a noi, una ragazza era tornata a vedere lo spettacolo una seconda volta: sguardo allenato, sentimenti aperti, nessuna aspettativa, solo pura accettazione. E proprio di questo ha bisogno il teatro, di qualcuno che non sieda al suo posto attendendo conferme, ma che venga ad osservare realtà diverse dalla propria, che le accolga per quel che sono e poi scopra che dopotutto non erano così lontane, anzi.

Ecco c’è proprio bisogno di questi “anzi”. Ieri ci hanno pensato le Carrozzerie n.o.t, Bernardo Casertano e le preziose citazioni di Wisława Szymborska; oggi, magari, è il vostro turno per recidere qualche falsa certezza. Perché se il teatro allena alla vita, lo spettatore deve saper applicarne le visioni.

Ascolto consigliato

Carrozzerie_n.o.t, Roma – 6 dicembre 2014

In apertura: Foto di scena ©Marzia Toiani

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