Diario di un pazzo – Bucci Caldoro

Diario di un pazzo – Flavio Bucci

È un omaggio necessario lo spettacolo che apre la nuova stagione del Teatro dell’Orologio. Lo storico teatro off romano, ospitato in un seminterrato a due passi da Piazza Navona, inaugura il nuovo anno con la messa in scena di un testo del suo fondatore, Mario Moretti. Diario di un pazzo è il libero adattamento di una delle più note novelle di Gogol’, che diventa il monologo progressivamente declinante verso il delirio di un personaggio schiacciato dalla povertà della sua condizione e dall’irrealtà delle sue ambizioni. Nell’ambiente ristretto dello scantinato romano ecco ricreata una di quelle povere camerette ammobiliate pietroburghesi, rifugio di studenti e piccoli burocrati, nella cui aria malsana sono ambientate tante pagine immortali dell’Ottocento russo.

La regia di Flavio Bucci – attore teatrale e cinematografico che dall’esordio con Elio Petri ha lavorato con maestri quali Monicelli, Argento, Loy, Montaldo, Sorrentino – si configura come una semplice messa in scena, tutta incentrata sulla cura dell’interpretazione dell’unico attore, Marco Caldoro. Protagonista è Popriscin, impiegato del più infimo grado nella rigidissima gerarchia burocratica introdotta da Pietro il Grande, un uomo infimo, una monade rivoltata in sé stessa, ammalata di un’ambizione disperata, schiacciata dal determinismo disumano di una società che riduce uomini a scarafaggi. Non un eroe, non un rivoluzionario, non filtra la luce dell’utopia nelle soffitte di Pietroburgo: le ambizioni sono sempre grette, anche se disperatamente irraggiungibili, non c’è solidarietà umana, non c’è empatia, si è soli con i propri fantasmi. Di questa intossicante condizione dello spirito riesce a dare brillante interpretazione Marco Caldoro, capace di variare i toni, di “fare il pazzo” senza andare necessariamente sempre sopra le righe, di regalare umanità a un personaggio disperato.

Nei meandri del testo appare un sospetto di contemporaneità, il senso di rimettere in scena – in uno dei luoghi deputati della ricerca teatrale italiana – quella che potrebbe sembrare, e in fondo è, la vecchia storia degli uomini del sottosuolo, di quella Russia lontana due secoli, di quella letteratura troppo grande per non essere vista a volte con sospetto, come citazione necessaria, bandiera di una comunità lettrice in disfacimento. In fondo, Popriscin, potrebbe assomigliarci più di quanto non pensiamo. Forse è pazzo, ma a ragion veduta. Ragioni che si affacciano dietro le quinte, e sinistramente assomigliano alle nostre, di ragioni.

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